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Guai TAV in pillole

Dodicesima puntata: “Nel nostro Paese i beni pubblici alla fine sono di chi se li prende”.

Stralci della requisitoria che i Pubblici Ministeri Gianni Tei e Giulio Monferini hanno pronunciato al processo in corso presso il Tribunale di Firenze a carico dei costruttori della TAV fra Firenze e Bologna

TRIBUNALE DI FIRENZE
SEZIONE MONOCRATICA
 
DOTT. ALESSANDRO NENCINI Giudice
 
Procedimento penale n. 535/04 R.G.
 
Udienza del 3 aprile 2008
 
 
Requisitoria del Pubblico Ministero dott. Gianni Tei
[Stralcio n. 12]
 
 
“DI CHI È L’ACQUA? DI TUTTI? DI NESSUNO?
[...] GLI IMPUTATI [...] DEVONO AVER PENSATO CHE L’ACQUA FOSSE LORO. E SE NON LORO, ALLORA CHE L’ACQUA NON FOSSE DI NESSUNO, SECONDO IL PRINCIPIO ABBASTANZA IN USO NEL NOSTRO PAESE PER IL QUALE I BENI PUBBLICI NON SONO CONSIDERATI BENI DI TUTTI, MA DI NESSUNO PER L’APPUNTO, E QUINDI ALLA FINE SONO DI CHI SE LI PRENDE”.
 
 
Tra i pareri allegati alla Conferenza di servizi [...] ve n’è uno, non considerato, quasi periferico, un parere di aspetto dimesso per la sua apparente modestia e laconicità. È il parere allegato alla deliberazione della Giunta Regionale della Regione Toscana n. 03884 del 24/07/1995 [...] avente per oggetto “Approvazione del progetto esecutivo del quadruplicamento ferroviario veloce Milano-Napoli tratta Firenze-Bologna, e dei connessi schemi di accordo quadro, programma, direttore e accordo procedimentale”.
Dopo vari “considerato” si dà atto “che l’istruttoria degli elaborati sopracitati è stata effettuata dai competenti uffici regionali che hanno predisposto i pareri di seguito elencati e che vengono allegati alla presente Deliberazione”.
Tra questi si trova il “…parere concernente le autorizzazioni…di uso delle acque e linee elettriche inferiori a 150 KW (R.D. 1775/1933) (Allegato C - composto da sub allegati A e B)”. [...] Notare come la deliberazione sia stata predisposta dal Dirigente Responsabile dal Servizio Infrastrutture, arch. Gianni Biagi, che poi ritroveremo come membro dell’Osservatorio Ambientale per conto della Regione Toscana e poi come assessore all’Urbanistica del Comune di Firenze, dove risulta tuttora in carica.
E che diceva il parere concernente le autorizzazioni “di uso delle acque e linee elettriche inferiori a 150 KW (R.D. 1775/1933)”?

Riportiamo per intero la parte sulle acque, tanto è corto il parere: “Nella documentazione presentata non risultano elaborati tendenti alla richiesta di utilizzazione di acque pubbliche superficiali e sotterranee che potranno essere attivate al momento della realizzazione delle opere e pertanto va indicata nella Conferenza dei Servizi che sono escluse autorizzazioni all’uso dell’acqua”.
Chiuso qua.

Nelle migliaia di carte di questo processo questo è l’unico foglio che rinvia ad una specifica competenza pubblica in materia di acque superficiali e sotterranee e vi si legge la oggi paradossale affermazione che nella documentazione presentata dal soggetto proponente l’opera “non risultano elaborati tendenti alla richiesta di utilizzazione di acque pubbliche superficiali e sotterranee”!

Ora si obietterà: ma che c’entra? È chiaro che qui si intende la richiesta per usare l’acqua per i cantieri.


Intanto, c’entra, perché CAVET non si è disturbata neppure per chiedere quelle, di autorizzazioni, tanto è vero che in questo processo si procede anche per il furto di acqua da parte di CAVET.

E poi, chi l’ha detto che CAVET non avrebbe dovuto munirsi dell’autorizzazione ex R.D. 775/33 e L. n. 75/95? Non foss’altro per chiedere la revoca di quelle in atto e già concesse ai privati ed incompatibili con la realizzazione dell’opera. Quei privati che non usavano già da tempo immemore punti d’acqua storici (ricordiamo che nel corso del processo abbiamo trovato fonti di cui vi è traccia che fossero utilizzate sin dal 1200, sin dal ‘500, oppure sorgenti con lapidi dell’800 oltre a tutte quelle altre ricordate da sempre a memoria d’uomo), quando in tempi più recenti hanno voluto battere nuovi pozzi o attingere dai fiumi e dalle sorgenti hanno presentato la loro bella domandina ed hanno avuto la loro concessione, quella che, [...] se finalizzata a usi domestici, con la legge del ’94 sarebbe divenuto addirittura un diritto quesito.
CAVET ha richiesto le revoca delle concessioni dei privati concesse? No.
Qualche ente Pubblico, Ministero, Regione, Provincia le ha revocate d’ufficio? No.
Ricordiamoci che per due chilometri CAVET ha detto: avremo impatti forse per due chilometri da una parte e da quell’altra del tracciato. Tutte le fonti d’acqua che erano là allora tu me le togli? Ed allora si comincia a capire cosa sarebbe successo. Si sarebbe cominciato a capire quale sarebbe stato il rischio a cui si sarebbe andati incontro. Forse qualcuno non si voleva prendere la responsabilità. Forse la valutazione tra interesse pubblico dell’opera e diritti dei cittadini, forse, sarebbe emersa in quella sede. Forse non erano sbagliati i rilievi delle associazioni ambientaliste. Forse il parere del Micheli e dalla Sargentini aveva un senso. Forse sarebbe emerso qualcosa.

No. Nessuno ha chiesto nulla, nessuno ha dato nulla. La mattina te ti svegli e non ti trovi l’acqua. E non è reato?
[...]
Allora ecco che viene la domanda: di chi è l’acqua?
Di tutti? Di nessuno?
Dai fatti acclarati viene un dubbio.
Che l’acqua sia di CAVET che ne dispone tranquillamente senza chiedere nulla a nessuno?
Eppure deve essere quello, hanno pensato gli imputati quando hanno seccato la sorgente di Visignano, l’acquedotto di Luco, hanno allagato le gallerie di Osteto e di Marzano, hanno impattato la sorgente La Rocca e di Moscheta, hanno seccato il Carza, ecc. ecc. Devono aver pensato che l’acqua fosse loro. E se non loro, allora che l’acqua non fosse di nessuno, secondo il principio abbastanza in uso nel nostro Paese per il quale i beni pubblici non sono considerati beni di tutti ma di nessuno per l’appunto, e quindi alla fine sono di chi se li prende.
Dico questo anche perché nel corso del dibattimento ogni tanto pare essersi affacciata la tesi che i ladri d’acqua fossero invece i privati con il pozzo autorizzato e che loro sarebbero addirittura causa di una situazione idrogeologica già degradata ante-lavori CAVET. Lo dice Celico a pg. 248 della sua CT. Il che sembra davvero troppo. Prima di CAVET nel Mugello c’era una situazione così degradata che quasi tutti i corsi d’acqua seccati da CAVET erano perenni, classificati a salmonidi ed ospitavano le trote ed i gamberi di fiume.
Noi ritenevamo invece, quando abbiamo esercitato l’azione penale, e lo riteniamo ancora oggi, che l’acqua non solo non sia di CAVET, ma nemmeno della Regione o di quelli che hanno approvato il progetto dell’Alta Velocità in conferenza dei servizi nel 1995, ma che sia un bene pubblico di cui qualunque soggetto, sia pubblico o privato, può disporre solo nei modi e nei limiti di legge. Avrebbero dovuto revocare tutte le concessioni. Non è che uno ne può disporre come se fosse cosa sua. Non è una mela che ho in casa. È un bene pubblico, e quindi soggetto al principio di legalità. Le leggi erano quelle che ho riferito [...].
Ed allora se è vero che:

-  in Conferenza di servizi non si indicano le interferenze idrogeologiche che si provocheranno se non in del modo del tutto generico, eventuale e comunque con carattere di transitorietà legato solamente all’andamento dei lavori tant’è che si rimanda il tutto ad fumoso monitoraggio in corso d’opera;

-  il proponente non richiede alcuna autorizzazione per l’uso di acque;

-  non si revocano le autorizzazioni delle concessione in essere;
possiamo dunque dire di essere in presenza di un’attività di CAVET autorizzata?
La domanda è retorica, e la risposta è “no”.
Certo, comprendiamo quale avrebbe potuto essere l’imbarazzo da parte di CAVET di chiedere di poter seccare l’acquedotto di Castelvecchio, di Luco, la sorgente La Rocca, Moscheta, il Carza e Carzola, e quale l’imbarazzo della Regione prima, e della Provincia poi, a revocare le concessioni in essere e rilasciare quelle per seccare i fiumi.
Ho capito. Capisco l’imbarazzo, ma anch’io mi imbarazzo a volte, ma mi astengo. Non è che mi è permesso di bypassare il principio di legalità e lo stato di diritto; se no si viene meno a tutto, credo, proprio alle basi della convivenza civile.
Facciamo la controprova.
Visto che le indicazioni del SIA, del Ministero dell’Ambiente, della Conferenza di servizi, almeno a parole, erano quella della salvaguardia diciamo per “quanto possibile”, “compatibilmente” con la realizzazione dell’opera, siamo sicuri che il quadro dei danni oggi realizzati fosse quello esplicitato sul tavolo della conferenza dei servizi?
La risposta è “no”, tant’è che non lo sostiene nessuno, neppure i CT di CAVET.

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