Gran Bretagna: censurate tshirt di Jesus and Mo
Due studenti atei vengono cacciati dalla fiera universitaria perché indossano magliette ritenute offensive dai musulmani. Per giunta non per intervento dei professori o della dirigenza, ma per la solerte e occhiuta sorveglianza delle organizzazioni studentesche.
Non è successo in Arabia Saudita ma in Gran Bretagna, in questi giorni e nella prestigiosa London School of Economics. Abhishek Phadnis and Chris Moos, in occasione della fresher’s fair dell’ateneo, decidono di indossare due magliette in cui è riprodotto il fumetto Jesus and Mo, striscia satirica che raffigura Gesù e Maometto. Le ironiche t-shirt vengono portate in un momento in cui tradizionalmente le università sono aperte e i vari gruppi studenteschi si organizzano con stand e attività per dare il benvenuto alle matricole, quindi in un contesto giocoso e informale. I due ragazzi fanno parte di una locale student’s union, la Atheist, Secularist and Humanist Society e sono lì per gestirne lo spazio riservato. Ma la cosa non piace ad alcuni colleghi, che ritengono le magliette offensive e fanno delle segnalazioni: i dirigenti delle student’s union intimano quindi ai giovani di toglierle.
Di fronte a un trattamento così eccessivo, il giorno dopo i due si presentano con le stesse magliette cui hanno applicato delle strisce che coprono le parti incriminate, con scritte come “censurato”. Ma, come raccontano, vengono di nuovo intimiditi dai capetti delle unioni studentesche, i quali prima pretendono che tolgano le t-shirt, poi li fanno persino accompagnare fuori dall’università scortati dalla sicurezza.
Lo sconcertante episodio, indicativo di un clima pesante verso i non credenti, suscita una certa indignazione tra gli studenti, che non mancano di manifestare il loro sostegno ai due, anche con una petizione on line. Nonostante le motivazioni addotte dai censori, che parlano di tutela delle “buone relazioni nel campus”, la storia dal giornale universitario finisce sulla stampa nazionale, con prese di posizione molto critiche della National Secular Society e della British Humanist Association.

Il rigido ossequio al politically correct verso l’islam, che porta a bollare qualsiasi critica (o in questo caso, un semplice riferimento scherzoso e non offensivo) come “islamofobia“, assume connotati ancora più grotteschi. Perché ormai pare autoindotta persino tra molti giovani britannici, specie gli “apparatchik” di queste organizzazione di studenti, una diffusa autocensura (e censura) a favore della religione che soffoca e restringe gli spazi alla libertà di espressione e che fa proprio il gioco delle componenti integraliste più vocianti e permalose. Come denunciano i protagonisti — loro malgrado — di questa storia, non è la prima volta che accadono simili episodi ai danni di studenti atei, che in questi anni si vanno organizzando nelle università anglosassoni.
Un problema che si aggrava e colpisce in particolar modo le istituzioni culturali e le organizzazioni di sinistra, dove le voci laiche si affievoliscono e si è sempre più succubi verso l’islam militante, tanto che basta che qualcuno lamenti di veder ferita la propria sensibilità religiosa per una maglietta ironica per suscitare censura e reazioni scomposte da parte chi non ci si aspetterebbe. Persino criticare la segregazione tra maschi e femmine imposta durante un incontro, con ospite il fisico ateo Lawrence Krauss, organizzato da un gruppo islamico allo University College di Londra, espone a reazioni del genere.
Il multiculturalismo confessionale inglese, che genera non solo questi mostriciattoli di perbenismo ma anche episodi più gravi, più passa il tempo e più mostra tutti i propri limiti. Di recente si è arrivati allo sdoganamento dei privilegi religiosi sul posto di lavoro, senza contare la legittimità di alcune sentenze delle corti islamiche concessa ormai da anni. Si tratta di un modello che non fa bene alla società, nemmeno a livello educativo. Come emerge anche dalla relazione governativa dell’Ofsted (Office for Standards in Education), che mette nero su bianco le defaillances delle faith schools, come evidenziato sempre da BHA e NSS. Ma lo stesso rapporto si ostina a non prendere atto delle ricadute, che sono la logica risultanza di dottrine impartite in nome di una fede.
Il t-shirtgate alla LSE smentisce un’ennesima volta i comunitaristi che hanno criticato la legge francese, perché l’abbigliamento “ostentativo” rappresenta un problema e si può risolvere soltanto in due modi: o sapendo far convivere persone che la pensano diversamente e lo mostrano, o vietando tale abbigliamento allo stesso modo per tutti.
Il favor religionis in voga nel Regno Unito porta invece soltanto alla creazione di ghetti e a una moltiplicazione esponenziale dei conflitti negli spazi che chi è abituato a vivere nei ghetti è costretto giocoforza a frequentare. Nonché a silenziare qualsiasi atteggiamento individuale che venga etichettato come offensivo da chi ha già imparato tutti i cospicui vantaggi del vittimismo.
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