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Goldman Sachs raccontata da un ex dirigente. Nulla di nuovo (purtroppo)

Sta facendo un bel po’ di onde il pezzo comparso oggi sul New York Times e firmato da Greg Smith, direttore esecutivo e responsabile del business derivati azionari di Goldman Sachs in Europa, Medio Oriente ed Africa.

La “confessione” di Smith non è nulla di sconvolgente, soprattutto per chi lavora nel settore finanziario anche dalla periferia dell’impero, e ripete accuse già lette in passato: è venuta meno la “cultura aziendale” di integrità e servizio al cliente, oggi visto come un babbeo da spremere per massimizzare gli utili.

Scrive Smith riguardo ai comportamenti necessari a diventare un leader di Goldman:

Quali sono tre modi veloci per diventare leader? a) Eseguire gli “axe” della compagnia, che è il gergo-Goldman [ma non solo, NdR] per persuadere i vostri clienti ad investire in azioni ed altri prodotti di cui stiamo cercando di sbarazzarci perché non crediamo abbiano elevato potenziale di profitto [dove è la notizia?, NdR]; b) “Cacciare gli elefanti”: in inglese spingere i vostri clienti – alcuni dei quali sono sofisticati, ed alcuni non lo sono – a compravendere qualsiasi cosa porti i maggiori utili a Goldman. Chiamatemi all’antica, ma non mi piace vendere ai miei clienti un prodotto che non fa per loro; c) Trovatevi a sedere in un posto in cui il vostro lavoro è scambiare ogni prodotto illiquido ed opaco con un acronimo di tre lettere [abs, cdo, ecc... NdR.]

Non sappiamo se le motivazioni di questa violenta crisi di coscienza di Smith siano genuine o non derivino piuttosto da altre problematiche, come un rischio di accantonamento nella struttura aziendale, per minore “produttività”. Ma questa non ci pare esattamente una notizia. Non sappiamo peraltro neppure se sia mai esistito un tempo, magari quando la sofisticazione dei prodotti finanziari era inferiore all’attuale, in cui compito delle banche d’affari era effettivamente quello di essere dei problem solver per la clientela, e non dei problem maker.

Ma provate ad astrarre dal rutilante mondo Goldman, e a pensare alla miserrima periferia dell’impero, magari al nostro paese. Troverete banche che vendono derivati complessi ad enti locali il cui unico scopo è quello di esporre a bilancio degli utili upfront che verranno poi pagati a carissimo prezzo nel corso della vita del derivato, con oneri fuori mercato. Stesso discorso per la vendita ad imprenditori di strutture complesse. Oppure per la vendita alla clientela retail di cartolarizzazioni che sono autentiche scatole nere il cui rendimento risulta essere, nella quasi totalità dei casi, ben inferiore a quello che si avrebbe comprando un caro, vecchio titolo di stato (prescindendo da crisi sovrane, ovviamente).

E non pensate neppure al mega executive director o managing director di Goldman, ed ai suoi svariati milioni di dollari annui di package di incentivazione. Pensate piuttosto allo sfigato bancario che “deve fare il budget”, ed è costretto a vendere spazzatura ad inconsapevoli clienti, mettendoci la faccia, che riceve telefonate di fuoco dai propri superiori perché non ha ancora venduto quello che c’era da vendere, e rischia di essere deportato in qualche Cayenna aziendale per “non aver compreso i nostri valori”. Ecco, pensate a tutto questo, e realizzerete che questo è il celeberrimo “sistema”. Bene il pentitismo dei grandi manager, forse. Ma quanto lezzo di ipocrisia, in questo sospirare sui bei tempi andati.

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