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 Home page > Tribuna Libera > Glossario giornalistico da attenzionare

Glossario giornalistico da attenzionare

  • polpetta di melanzana;
  • raccattare;
  • leccare il fondoschiena;
  • appolpettato;
  • leccaculismo;
  • spuriate sul web;
  • cani all'osso;
  • cuccia Bobbi;
  • scialapopolo;
  • a detta dei soliti bene informati;
  • polpetta di carne;
  • ...

Quelli appena elencati non sono termini letti su ricettari o libri di cucina, sono invece alcune espressioni che i paolani e i calabresi leggono solitamente su un settimanale d’informazione locale presente nelle edicole.
Mi chiedo se i giornalisti e il loro ordine sono soliti scrivere e accettare che qualche collega faccia informazione utilizzando termini simili.

La violenza e la sciatteria verbale, se documentata, anche se per qualcuno ripugnante, è innocente, se non documentata e condita da “si presume” o da “a detta dei soliti bene informati”, può essere pericolosa. Non solo alcuni argomenti ma anche i termini usati possono generare violenza verbale.

I giornali giungono anche nelle scuole, vengono analizzati, studiati dai giovani.
Sole 24 Ore, Corriere della Sera e Messaggero i più presenti tra i banchi delle nostre scuole secondarie di primo e secondo grado. Poi però capita d’incappare in articoli che hanno stili palesemente diversi e si rischia di generare violenza oppure, nella migliore delle ipotesi, prendere esempio dalla sciatteria citata in precedenza per scrivere come letto su certa stampa.

Un ragazzo che magari s’appassiona alla lettura dei quotidiani perchè ha avuto la fortuna d’avere insegnanti che durante l’anno scolastico l’hanno più volte spronato a farlo, considera spesso “oro colato” l’autorevolezza di quelle firme. Poi capita d’inciampare nella lettura di articoli di cronaca locale con termini come quelli elencati in precedenza oppure come “colletti bianchi corrotti e insozzati con determinati ambienti locali della criminalità organizzata“, senza riportare nomi, prove ma solo ipotesi, congetture che rendono acida l’informazione e “violento” il rapporto con le istituzioni.
Viene da pensare che chi scrive certe cose si faccia scudo delle firme autorevoli che tutti leggiamo e abbiamo letto, sfrutti l’autorevolezza di giornalisti veri che da Montanelli a scendere hanno elevato la professione dell’informare, per poi partorire articoli come se fossero lettere al cronista, commenti, … che il cronista stesso riporterebbe con tanti omissis.

Il ragazzino lettore del giornale di provincia (quel giornale di provincia) si chiede il perchè di alcuni nomi schiaffati sulla carta e il perchè no! di altri citati solo con epiteti.

Tempo fa scrissi che la critica è certamente un indispensabile strumento di controllo democratico, ad essa però, anche se dura e aspra, si deve rispondere con argomenti e comportamenti tali da rendersi credibili ai lettori. L’essere retto in senso morale e intellettuale con probità e onestà, lealtà e sicurezza nel giudicare, non è da tutti ma dev’essere una qualità che deve avere chi informa.
E’ vero, il mondo dell’informazione non conosce mezze misure e spesso macina la realtà senza risparmiare niente e nessuno. Di fronte al rumore di certi media, chi vuole informarsi deve continuare a cercare le notizie. Che, nonostante tutto, non si possono nascondere. Il problema è che la frenesia dei nostri giorni non permette ai più d’intrecciare le notizie, la prima che ti capita a tiro è quella, e per te è “vera”. E’ per questo che la responsabilità professionale di chi scrive deve elevarsi, ancor più di quanto l’hanno elevata i grandi giornalisti del passato, non “a detta dei bene informati”, a detta mia.

E che dire dell’atteggiamento censorio e moralista che alcuni applicano a corrente alternata specie nei confronti di chi scrive senza patentino. Queste certezze “granitiche”, questo senso di superiorità, questi tribunali improvvisati spaventano perchè aizzano le folle. L’uomo è per natura un coacervo di contraddizioni, lo è chi scrive e lo è chi critica, lo è soprattutto quella categoria ossessionata dal vantare una propria “buona coscienza”, impegnata nel distribuire etichette e categorie morali, che giudica, giudica inesorabilmente, ma non gradisce essere giudicata.

Tornando ai termini elencati in apertura di post, mi chiedo se a scandalizzarmi sono stato solo io, se li hanno letti per esempio altri giornalisti. Mi chiedo come faccia a scivolare sulle loro letture “leccaculismo” specie alla luce del principio della continenza nell’espressione usata. Sarà che tra colleghi non ci si dovrà criticare, ma se lo fossi (collega) mi vergognerei. Capita in molte professioni che nel chiuso delle proprie stanze ci si “vergogni” dell’operato d’altri colleghi, credo però che il mondo dell’informazione non possa permettersi tali sciatterie perchè è un mondo d’altissime responsabilità sociali. Lo credo da lettore che sbircia tra tante notizie al solo scopo di crearmi un’opinione meno inquinata possibile.

La libertà di stampa è un baluardo della legalità, confido nel tentare d’essere, tutti, obiettivi nel non predicarla a senso unico e nel considerarla alla stessa stregua della libertà di parola.

Le quattro regole che chi scrive per professione dovrebbe seguire pare debbano essere:

  1. riportare fatti pubblici o di rilevante interesse pubblico (fatti privati sul giornale non possono essere pubblicati);
  2. riportare fatti che siano veri o verosimili;
  3. riportare fatti seguendo il principio della continenza nell’espressione usata (giustificando l’utilizzo di espressioni acri, accese, di impatto emotivo e oggettivamente offensive, purché non sfocianti in un’aggressione gratuita ed immotivata alla sfera privata di chi ne è destinatario, attingendone l’onore, il decoro e la reputazione);
  4. riportare l’essenzialità della notizia.

Bene, molti giornalisti sono persone corrette, altri tendono a travisare le notizie. E’’ spiacevole leggere a volte servizi o commenti che calpestano con disinvoltura la dignità dei cittadini, talvolta capita anche di ascoltare giornalisti elencare i quattro principi che regolano la loro professione, talvolta capita che siano gli stessi giornalisti che condiscono i loro articoli con i termini elencati in apertura di post.

Poi ci sono le tre regole che uno dei più grandi “reporter” del secolo scorso ci ha lasciato in eredità, non si pretende che debbano essere pedissequamente seguite ma attingere dai grandi non farebbe male:

  1. Guadagnarsi la fiducia del lettore dicendo sempre tutta la verità e, se ci si sbaglia, chiedere scusa immediatamente;
  2. Scrivere con un linguaggio semplice, quello del lettore e non quello “dell’Accademia, peste e dannazione di una cultura”. Essere sempre al servizio del lettore;
  3. Non far mai sentire al lettore la propria opinione: “che te ne sia fatta qualcuna, è inevitabile; e chi lo nega, o è un imbecille o è un bugiardo. Ma non si può nè si deve imporla al lettore; bisogna lasciargliela suggerire dai fatti secondo il modo in cui gli si raccontano”.

I.M.

Per quanto possano sembrare semplici e quasi addirittura banali, quanti sono oggi i reporter che rispettano queste regole?

Non si vuole attaccare alcuno, è solo un “catenaccio all’italiana”, un gioco in difesa della libera espressione di chiunque, al netto però del vilipendio, della diffamazione, della calunnia.
La libertà di manifestazione del pensiero risiede nell’interesse individuale di testimoniare i propri convincimenti attraverso il libero confronto delle varie opinioni. Sempre, e lo ripeto a costo d’essere tedioso, al netto delle “offese”.
La stessa Corte Costituzionale considera la libertà di manifestazione del pensiero come libertà di dare e divulgare notizie, opinioni e commenti, ovviamente senza dolo, menzogna, inganno, raggiro, frode, impostura, …

Mi auguro di non dover scrivere più su argomenti simili ma se l’ho fatto più volte è per cercare di dare risposte alle tante sollecitazioni che giungono a questo blog specie da chi vive fuori dalla terra d’origine. Sollecitazioni che non hanno microfoni e movimenti politici d’appartenenza, sollecitazioni di liberi cittadini “confusi” che cercano di crearsi un’opinione sulle questioni del vivere civile alle nostre latitudini.

Ah, dimenticavo, il linguaggio aulico che si avvale dei termini elencati in apertura, l’ho appreso su Calabria Inchieste.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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