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Gli slogan di Renzi e quelli della Cei

La politica italiana continua imperterrita ad andare a braccetto con la religione. È quindi inevitabile che, quando - sempre più spesso, purtroppo - si trasforma in teatrino, sulla scena si presentino non solo i protagonisti della prima, ma anche quelli della seconda.

Il primo ministro Renzi ha messo in discussione l’articolo 18. Non spetta a noi stabilire se sia giusto o sbagliato: non abbiamo né l’interesse statutario né la competenza per farlo, e lo riconosciamo senza problemi. Possiamo al massimo auspicare che la decisione di intervenire sia stata presa a ragion veduta, e non in base alla necessità di far fronte con un gesto “forte” a qualche articolo di stampa disilluso nei confronti della sua azione di governo.

Le Cei non è l’Uaar: ha quindi tutto il diritto di intervenire sulla questione del lavoro (“l’articolo 18 non è un dogma”) e di giudicare il premier anche sulla sua tendenza all’“annuncite”, chiedendogli di piantarla con gli slogan. Può anche chiedere, come ha fatto il segretario generale mons. Galantino, che Renzi “ridisegni l’agenda politica”. Può anche chiedere ai sindacati, come anche in questo caso ha fatto, che “guardino oltre”, che non pensino soltanto “a tenere alto il numero dei propri iscritti”, che non siano troppo “conservativi” (sic). Così com’è libera di chiedere, per la milionesima volta, che dalle casse pubbliche escano ancora più fondi alla famiglia - quella cattolicamente corretta, ovviamente, perché per la milionesima volta ha chiarito che di unioni civili e divorzio breve l’Italia deve continuare a fare a meno.

Quello che a nostro avviso non dovrebbe fare, l’organizzazione tuttora guidata dal card. Bagnasco (a cui il papa preteso “rivoluzionario” ha conservato il posto), è dire che la Chiesa non fa politica. L’ha sempre fatta, la fa, e tutto lascia supporre che la farà finché ci saranno politici che la ascolteranno. E non solo i suoi housewarming parties, Udc e Ncd. La Chiesa non dovrebbe nemmeno incassare soldi, privilegi e immunità derivanti dal Concordato, perché l’unico impegno che la Chiesa dovrebbe onorare in cambio degli oltre sei miliardi l’anno di fondi pubblici che incassa, concausa del deficit di bilancio (e di diritti civili, e di un maggior numero di famiglie povere) nel quale ci troviamo, è quello di rispettare l’indipendenza e la sovranità dell’ordinamento della Repubblica. Impegno che sistematicamente viola. Senza che nessun governo di nessun colore glielo abbia mai fatto notare.

Il problema è tutto qui. Renzi, anziché rispondere “Galantino chi?”, questa volta ha evitato ogni replica, sostenendo di “rispettare ogni valutazione”. Reduce da un cordiale incontro con Marchionne, ha anche ribadito di non volerla dare vinta ai “poteri forti” che lo vorrebbero sostituire. Dubitiamo fortemente che si riferisse alla Cei. Dall’ex sindaco di Firenze i vescovi hanno già ottenuto la caduta nel dimenticatoio del programma elettorale del Pd su legge 40, aborto, coppie gay, omofobia e della promessa renziana delle unioni civili, la truffa della “retta simbolica” delle scuole private cattoliche, l’incredibile estensione al Fec dell’Otto per Mille statale. E tanto altro ancora. Un po’ ingrati, i vescovi, nei suoi confronti. Del resto, come abbiamo scritto più volte, i cimiteri italiani sono pieni di politici che pensavano di conservare il potere facendoseli amici.

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