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Gli Stati Uniti contro la dittatura di Bashar al-Assad

Il Dipartimento di Stato americano denuncia la barbara uccisione dei due giornalisti occidentali morti ieri a Homs, in Siria. L'attacco all'Iran è molto problematico, dicono gli esperti del Pentagono.

«E’ un nuovo esempio della brutalità vergognosa del regime del presidente Assad». Cone queste parole il portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Victoria Nuland, denuncia la brutalità del regime di Bashar al-Assad per l’uccisione dei due giornalisti occidentali – un francese e un’americana – nella città di Homs, da mesi sotto la rappresaglia continua dei soldati siriani.

I due reporter uccisi si chiamavano Marie Colvin e Remi Ochlik, e sono stati uccisi durante i bombardamenti a Homs, la città simbolo dei rivoluzionari anti dittatura, dai militari fedeli ad Assad.

Marie Colvin era considerata una veterana tra i giornalisti di guerra e lavorava per il Sunday Times.

Rémi Ochlik era un fotografo francese ed aveva vinto l’ultima edizione del World Press Photo per la categoria ‘General News‘ con un lungo reportage fotografico sulla rivoluzione libica.

Riguardo alla possibilità più volte annunciata e poi smentita di un ipotetico attacco di Israele all’iran – amico del regime tanto da inviare due corazzate a Damasco – l’impresa si preannuncia difficilissima se non impossibile. Se Tel Aviv volesse attaccare davvero la patria di Ahmadinejad e degli Ayatollah, dovrebbe volare per almeno 1.600 chilometri nello spazio aereo iraniano, fare rifornimento in volo, rispondere alla contraerea nemica, attaccare vari siti a terra, e, se veramente vuole rendere efficace l’attacco, condurre un’azione con almeno cento caccia.

Naturalmente non siamo noi a riferirlo ma un’analisi del Pentagono, nel quale emerge che le possibilità di riuscita sono davvero basse in quanto si tratta «di un’operazione di enorme portata e altamente complessa».

A quanto dicono gli esperti militari interpellati dal New York Times, l’operazione è ben diversa dagli attacchi contro i reattori nucleari in Siria nel 2007 e a Osirak, in Iraq, nel 1981. «Lo dicono tutti, bombardare l’Iran non sarebbe così facile» ha detto David Deptula, ex intelligence dell’Aeronautica Militare americana e tra gli organizzatori della campagne aeree in Afghanistan nel 2001 e nel Golfo Persico nel 1991.

Il fattore determinante che ha fatto scattare la scintilla anti-Teheran a Israele, è la continua negazione del governo iraniano ai controlli sul proprio programma nucleare da parte degli osservatori Onu. La particolare situazione ha fatto infuriare persino il flemmatico Obama, il quale ha inviato il suo consigliere per la sicurezza nazionale, Tom Donilon, ad un incontro con il primo ministro israelita Benjamin Netanyahu. Mentre il portavoce israeliano a Washington, Lior Weintraub, ha precisato che il Paese continua a chiedere sanzioni più aspre contro Teheran e «mantiene tutte le opzioni sul tavolo». Ma le opzioni prima o poi finiranno…

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