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Gioie e dolori del Giubileo

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Per i cattolici l’istituzione del Giubileo ha un notevole significato religioso e simbolico. È tempo di indulgenza plenaria, di remissione completa dei peccati, di salvezza eterna, e tutto quello che viene richiesto è recarsi a Roma in visita alle basiliche maggiori. Per tutti, poi, il Giubileo ha altri significati di ordine decisamente più pratico legati alla massa di gente che affluisce nella capitale italiana, e quindi fiumi di denaro in entrata ma soprattutto in uscita, perché se è vero che i pellegrini spendono una certa quantità di denaro, in particolare nelle strutture ricettive, è altrettanto vero che la gestione di questi flussi umani comporta dei costi che purtroppo non vengono mai bilanciati dal ritorno economico.

Fu per questo motivo che l’allora premier Monti rinunciò a candidare la stessa Roma per le Olimpiadi del 2020. Ed è sempre per lo stesso motivo che l’annuncio dell’imminente Giubileo straordinario da parte del papa suona come una beffa. A tre anni di distanza non è cambiato granché dal punto di vista economico, c’è sostanzialmente la stessa crisi a gravare sul debito pubblico e i segnali di ripresa sono ancora troppo timidi, ma a differenza di allora il governo non è stato chiamato a dare il suo consenso o respingere l’operazione. Ha potuto semplicemente prenderne atto e regolarsi di conseguenza. Con estremo giubilo, peraltro, perché da noi quando le istituzioni ecclesiastiche chiamano, quelle secolari scattano sull’attenti. O forse sarebbe più corretto dire che si stendono a terra, perché in effetti l’immagine del tappetino scendiletto sotto i papali piedi sarebbe più rappresentativa di quella che è la realtà.

Il primo a scattare, per ovvi motivi, è stato il sindaco Marino con la dichiarazione che “Roma è da subito pronta ad affrontare questo evento”. È chiaro che non poteva proprio dire altro, visto che da adesso all’inizio dell’Anno Santo mancano poco più di otto mesi e considerato che il modo in cui eventualmente gestirà l’organizzazione avrà un peso enorme sul suo futuro politico. Subito dopo ha però iniziato a chiedere pubblicamente contributi al governo quantificati in cento milioni di euro, e quindi forse di pronto c’era giusto lo spirito. Forse. Il che è anche comprensibile, perché per quanto una città possa essere abituata al turismo di massa gli eventi straordinari pongono problematiche per cui non è proprio possibile dire “siamo pronti”, o almeno non lo si può dire con la pretesa di essere presi alla lettera. Tant’è che nel frattempo l’assessore Cattoi ha iniziato a pianificare gli interventi; non certo grandi opere dato il poco tempo a disposizione, e questo dovrebbe teoricamente essere un bene, ma piccoli provvedimenti di sistemazione, e anche di completamento di opere iniziate in precedenza, che il Campidoglio definisce “low cost ma non low profile”.

Al governo sembrano però vederla in modo diverso dall’amministrazione capitolina. Il budget di spesa ipotizzato da Marino, che solo pochi mesi fa era stato soccorso proprio dal governo per evitare il dissesto finanziario, sembra essere largamente insufficiente e di conseguenza Marino stesso non viene visto di buon occhio alla direzione delle operazioni. In questo quadro di incertezza il sottosegretario della Pubblica amministrazione Rughetti ha lanciato un’idea che deve aver fatto raggelare il sangue nelle vene a molti, vista la mancanza di reazioni: il Vaticano contribuisca alla spesa. Eppure è giusto quello che ci si aspetterebbe da qualunque amministratore dotato di un minimo di rispetto della cosa pubblica e messo con le spalle al muro dalla decisione di uno scomodo inquilino che pesa sui bilanci pubblici. Perché di fatto il Vaticano questo è: un inquilino, non un’enclave qualsiasi. L’appena mezzo chilometro quadrato del suo territorio è insito in un comune la cui superficie è oltre duemila volte più grande. Può forse il proprietario di un mini appartamento dare una festa e invitare centinaia di persone, invadenti inevitabilmente spazi comuni, senza rendere conto al condominio?

Senza contare poi il fatto che i pellegrini giubilanti non sono turisti qualsiasi ma turisti religiosi. La maggior parte di loro non alloggerà negli alberghi della capitale e non andrà a fare shopping nei vari esercizi commerciali, bensì cercherà di trovare un posto letto nei tanti edifici religiosi svuotatisi grazie alla crisi delle vocazioni e al massimo acquisterà souvenir a tema dalle suorine. Una larghissima parte degli introiti andranno quindi alla stessa Chiesa, senza ritorno fiscale verso l’erario italiano visto che questo tipo di ricettività è notoriamente esentata dal pagamento di imposte varie, a cominciare da quelle sugli immobili. Con queste premesse un impegno finanziario sostanzioso da parte del ricco Stato della Città del Vaticano non sarebbe certo un’eresia, ma qui si parla giustappunto di chi le eresie le stabilisce e così l’eresia quasi diventa il chiederlo.

Certo la Chiesa non è solita farsi dettare l’agenda ed è ancora meno disposta a farsi dettare le voci del registro dei corrispettivi, soprattutto quelle della colonna “dare”. Saprà come ottenere il massimo del risultato in termini d’immagine e di autorevolezza con il minimo dello sforzo economico. Un’idea dell’andazzo lo hanno già dato il cardinale vicario romano Agostino Vallini e il direttore della Caritas diocesana Enrico Feroci, che insieme hanno lanciato l’idea di istituire un fondo per sostenere le famiglie con il coinvolgimento delle aziende municipalizzate romane, che naturalmente verranno messe davanti al fatto compiuto. Un fondo, quindi, che per definizione è aperto al contributo di vari soggetti. Lo strumento ideale per spendere denaro non proprio. Se queste sono le prime idee non osiamo immaginare cosa arriverà dopo.

Massimo Maiurana

Questo articolo è stato pubblicato qui

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