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Giada Carraro, "La casa delle girandole. L’arte cinetica di un poeta astronomo veneziano" (Linaria, Roma)

E’ un piccolo libro, questo, di Giada Carraro, di Castelfranco Veneto, ricercatrice di Storia dell’arte. Ma ha il merito, in poche pagine, peraltro riccamente illustrate, di non dimenticare Donato Zangrossi (1905-1990) e la sua ‘Casa delle girandole’. Quel magico edificio si trovava al numero 3792 della Corte dei Preti e si affacciava su campo Castelforte, a due passi dalla chiesa e dalla scuola grande di San Rocco, molto vicino alla Basilica dei Frari. Zangrossi lavorava alla Sava di Marghera, colosso industriale dell’alluminio, dove si occupava della produzione della soda caustica, prima come operario specializzato, poi come caporeparto. Aveva sempre amato lo studio, anche se, concluse le scuole dell’obbligo, dovette subito trovarsi un lavoro. Ciò nonostante, tutto il tempo libero lo dedicava agli studi di fisica, astronomia e filosofia, arrivando a mettere a punto delle teorie proprie, nelle quali la scienza si incontrava con la poesia..

Passava ore ed ore ad ammirare il cielo stellato, finchè, attorno agli anni del pensionamento, venne assunto come custode del padiglione del Venezuela presso la Biennale di Arti visive. Influenzato, pare, dalle opere d’arte cinetica – forma d’arte diffusasi intorno agli anni ’60 negli Stati Uniti e in Europa, basata sulla produzione di oggetti in movimento – esposte nel padiglione, iniziò a costruire le sue girandole forse attorno al 1967. Zangrossi, si legge nel libro, cercò di ricreare il cielo, l’universo e la galassia non solo nella facciata della sua casa, ma anche in ogni singola girandola, con l’obiettivo di trasmettere quella stessa legge morale che vedeva nel cielo: sapere, umiltà e amore per il prossimo. E infatti ogni girandola era diversa dalle altre e rappresentava un oggetto unico, prodotto usando legno di risulta che magari gli veniva donato. L’artista lo sagomava, lo colorava, poi assemblava le varie parti, usando degli ingranaggi di ferro per trasmettere la rotazione e inserendo delle sfere d’acciaio che fungevano da bilancieri. Per collocare le girandole sulla facciata, Zangrossi si imbragava e arrampicava lungo la parete approfittando dei giorni di acqua alta, nell’eventualità di una caduta, che con simili accorgimenti, non avrebbe procurato ferita alcuna. Tutti erano innamorati delle girandole, dai bambini, ai turisti che lasciavano dei bigliettini.

Gli studenti universitari erano soliti passarci di fronte prima di un esame, scongiurando che girassero per il verso giusto. L’autrice conclude la prima parte del libro, chiedendosi perché non siano state conservate, allorchè la proprietaria dell’immobile, la prefettura, ne rientrò in possesso. Perché nessun museo, nessuna associazione, nonostante Venezia ne fosse piena, pensò che valesse la pena tutelarle? Perché non sono state riconosciute come Beni Culturali? Perché forse erano considerate una sorta di passatempo di un anziano bizzarro, che molto poco aveva a che fare con la produzione culturale. Con certezza, tuttavia, ne sono rimaste sette. Cinque le conserva la figlia Michela, una, una signora di Monza, una, Flavio Musci, un industriale di San Vito al Tagliamento (PN), che avrebbe voluto riprodurle su scala industriale, senza ottenere il consenso dell’Autore che le aveva create perché portassero amore ed armonia nelle persone.

La seconda parte del libro contiene alcuni scritti, per lo più inediti, di Zangrossi, che rivelano le riflessioni fisiche e filosofiche di un uomo sincero, gentile, privo di invidia, che attraverso le sue creature cercava forse di trovare una risposta all’eterno quesito che ogni uomo si pone almeno una volta nella sua esistenza : "Che ne sarà di me dopo questa vita terrena?". Il volumetto si conclude con un intervento di Rino Lombardi, direttore del Museo della Bora di Trieste, organizzatore di più di dieci edizioni di ‘Girandolart’, la festa delle girandole, per risvegliare il rapporto tra il vento e la città. E dunque, se Venezia muore, le istituzioni devono sentirsi colpevoli. Se fra poco i Cinesi diventeranno i nuovi padroni della città, sempre più snaturata, non ci sarà da meravigliarsi. Intanto, teniamoci stretto questo libricino, pensando con nostalgia all’infanzia, a quando la città era viv-a-ce, aperta verso l’esterno senza perdere la propria identità.

Il libro, uscito a giugno, è ora in ristampa e sarà disponibile in tutte le librerie di Venezia.

                   

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