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Gheddafi e Simoncelli: senza pietà

Lo strazio mostrato sui mass media, il rischio di anestesizzazione dei sentimenti umani, il degrado dell’informazione

Chiariamo subito che l’accostamento tra il povero Marco Simoncelli e l’infame dittatore Muammar Gheddafi (vedi articolo di apertura) non intende assimilare in alcun modo due figure diversissime: sarebbe offensivo per il giovanissimo e simpatico centauro di Cattolica.

Il comune denominatore è legato al post mortem, l’equiparazione riguarda l’assoluta insensibilità – se non altro verso i parenti – con cui entrambi i corpi delle vittime di tragiche circostanze tanto diverse tra loro sono stati trattati dai mass media. Inquadrati, esposti, analizzati in ogni modo. Immagini, filmati, ripetuti all’infinito in modo infame, con una rincorsa che nessun mezzo di comunicazione, di qualsiasi provenienza politica e culturale, ha inteso risparmiarsi e risparmiarci. Il rischio più grave, e per nulla da sottovalutare, è quello di desensibilizzare gli spettatori, soprattutto i più giovani, che probabilmente non hanno nel proprio background culturale stagioni meno infelici e squallide sul piano della comunicazione e forse neanche gli anticorpi psicologici ed etici. Siamo alla spettacolarizzazione della sofferenza e della morte, al degrado dell’informazione, che rincorre, anzi incita il destinatario ai più bassi istinti.

Lasciamo stare gli altri Paesi e l’islam, ma la nostra Italia, che dovrebbe essere e si reputa cristiana (e forse, invece, incarna il peggiore cattolicesimo), dovrebbe conoscere il silenzio, la riflessione di fronte al mistero della morte, e il rispetto per corpi senza più vita. Ma c’è poco da illudersi. Invece, basta pensare alla barbarie di piazzale Loreto, più grave di quella consumatasi in Libia, visto che il cadavere di Benito Mussolini è stato esposto all’aperto per ore, dato in pasto alla folla che lo ha profanato (e, in entrambi i casi, dove iniziano e dove finiscono le differenze morali tra vinti e vincitori, presunti buoni e vittime, e sicuramente cattivi e carnefici)? E riflettere sul recente squallido costume di tributare applausi prima e dopo i funerali delle persone. E, ancora, sulla bramosia morbosa con cui gli italiani seguono da anni gli orrori dei casi giudiziari della signora Franzoni, di Erika e Omar, di Olindo e Rosa, o degli assassinii delle povere Sarah Scazzi, Meredith Kercher, Yara Gambirasio. Morbosa attrazione verso il raccapricciante e verso la violenza, malsano interesse per la morte, incapacità di provare raccoglimento quando ci si incontra con essa e di manifestare rispetto per le vittime e i defunti.

L’immagine: Cristo portacroce (forse 1515-16, olio su tavola, 76,5 x 83,3, Gand, Musée des Beaux arts) di Jeroen Van Aeken, meglio noto come Hieronymus Bosch (’s-Hertogenbosch, 1450-1516).

Rino Tripodi

(Lucidamente, anno VI, n. 71, novembre 2011)

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