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Generosità religiosa e generosità laica

Un luo­go co­mu­ne mol­to dif­fu­so è che i cre­den­ti sia­no, poi­ché cir­con­fu­si da un’au­ra di su­pe­rio­re bon­tà, più pro­pen­si alla ca­ri­tà e più ge­ne­ro­si ri­spet­to a chi non ha fede. E que­sto spi­ri­to di ser­vi­zio spes­so osten­ta­to di­ven­ta uno de­gli ar­go­men­ti prin­ci­pa­li del­la pro­pa­gan­da re­li­gio­sa, spe­cial­men­te nel pe­rio­do del­la di­chia­ra­zio­ne dei red­di­ti. In real­tà que­sta opi­nio­ne vie­ne pun­tual­men­te ri­di­men­sio­na­ta quan­do ci si pren­de la bri­ga di fare ri­cer­che, an­dan­do ol­tre l’a­ned­do­ti­ca da par­roc­chia. I cre­den­ti han­no sem­pli­ce­men­te una ten­den­za mag­gio­re a do­na­re en­tro le pro­prie reti di fede e ri­spet­to a chi non cre­de sono mos­si piut­to­sto da ob­bli­ghi re­li­gio­si.

No­no­stan­te ciò, il mito dei cre­den­ti più ge­ne­ro­si de­gli al­tri è duro a mo­ri­re. Uti­le per ri­flet­te­re è dun­que il com­men­to di Friend­ly Athei­st sul re­cen­te Na­tio­nal Stu­dy of Ame­ri­can Re­li­gious Gi­ving. Vie­ne fuo­ri che qua­si il 75% del­le of­fer­te fi­ni­sce alle Chie­se e a or­ga­niz­za­zio­ni di vo­lon­ta­ria­to le­ga­te alle con­fes­sio­ni re­li­gio­se. In so­stan­za, i be­ne­fat­to­ri fi­nan­zia­no le chie­se e le of­fer­te en­tra­no in quel cir­cui­to, non fi­ni­sco­no di­ret­ta­men­te a chi ne ha bi­so­gno. Ab­bia­mo già evi­den­zia­to quan­to sia­no alti ne­gli Usa i co­sti in­ter­ni di man­te­ni­men­to del­le con­fes­sio­ni re­li­gio­se e quan­to poco di quel­lo che vie­ne in­ca­me­ra­to da que­ste poi vada in be­ne­fi­cen­za.

I dati del­lo stu­dio ven­go­no di­scus­si an­che su Re­li­gion Di­spat­ches, dove si fa no­ta­re che il 65% del­le per­so­ne af­fi­lia­te a una re­li­gio­ne dona a con­gre­ga­zio­ni e real­tà a que­ste col­le­ga­te. Con­si­de­ran­do che cir­ca l’80% de­gli ame­ri­ca­ni è re­li­gio­so, vie­ne fuo­ri che il 55% di loro dona a Chie­se. Se­con­do il rap­por­to, dona il 56% dei non cre­den­ti ma la dif­fe­ren­za ri­spet­to ai cre­den­ti (quel 9%) fi­ni­sce alle Chie­se. In pra­ti­ca quel­lo che i cre­den­ti dan­no in più va di­ret­ta­men­te alle con­fes­sio­ni re­li­gio­se. Ne­gli Sta­ti Uni­ti cir­ca i due quin­ti di quel­lo che vie­ne do­na­to va a con­gre­ga­zio­ni, che lo usa­no so­prat­tut­to per at­ti­vi­tà re­li­gio­sa.

È noto che gli sta­ti che do­na­no di più ai pae­si po­ve­ri sono an­che i più se­co­la­riz­za­ti, come quel­li scan­di­na­vi e l’O­lan­da. Sen­za con­ta­re che la be­ne­fi­cen­za re­li­gio­sa­men­te orien­ta­ta ha del­le mar­ca­te e mai na­sco­ste fi­na­li­tà di pro­se­li­ti­smo. In que­sti anni an­che le na­zio­ni isla­mi­che ric­che di pe­tro­dol­la­ri stan­no in­ten­si­fi­can­do gli aiu­ti al­l’e­ste­ro. Ma solo a pae­si isla­mi­ci e con una for­tis­si­ma com­po­nen­te de­di­ca­ta alla re­li­gio­ne (spic­ca­no le co­stru­zio­ni di mo­schee). Ma la ge­ne­ro­si­tà re­li­gio­sa, per sua na­tu­ra, non può ar­ri­va­re ovun­que: dif­fi­cil­men­te tro­ve­re­mo per esem­pio la chie­se at­ti­ve nel­la co­stru­zio­ne di ospi­zi per i gay, di cui si sta ini­zian­do a par­la­re in Fran­cia. Una ge­ne­ro­si­tà di im­pron­ta lai­ca, fon­da­ta su ciò che ac­co­mu­na tut­ti gli es­se­ri uma­ni a pre­scin­de­re dal­l’ap­par­te­nen­za re­li­gio­sa o meno, rap­pre­sen­ta una con­cre­ta fuo­riu­sci­ta dal­la lo­gi­ca tri­ba­le. È au­ten­ti­ca eti­ca uni­ver­sa­li­sta: il pas­sag­gio dal­la men­ta­li­tà “aiu­to solo i miei ami­ci (o po­ten­zia­li tali)” a “aiu­to chiun­que ab­bia bi­so­gno”.

Que­sta è l’e­ti­ca che do­vreb­be ispi­ra­re an­che i po­li­ti­ci ita­lia­ni. In­ve­ce vin­ce la lo­gi­ca del­la sus­si­dia­rie­tà cle­ri­cal­men­te orien­ta­ta, che rag­giun­ge ec­ces­si e scop­pia in scan­da­li in re­gio­ni come la Lom­bar­dia. Gli enti pub­bli­ci si ri­vol­go­no a tut­ta la po­po­la­zio­ne e sono te­nu­ti a pub­bli­ca­re un albo dei be­ne­fi­cia­ri, ma le or­ga­niz­za­zio­ni cat­to­li­che a chi si ri­vol­go­no?

Ca­pi­ta spes­so che le Ca­ri­tas sia­no fi­nan­zia­te da fon­di pub­bli­ci, ma poi­ché non sono te­nu­te ad al­cun ob­bli­go in me­ri­to alla pub­bli­ca­zio­ne di bi­lan­ci o alla re­da­zio­ne del­l’al­bo dei be­ne­fi­cia­ri, si crea una di­scri­mi­na­zio­ne: il bi­so­gno­so che ri­ce­ve un con­tri­bu­to dal­la Ca­ri­tas che a sua vol­ta li ha ri­ce­vu­ti da un ente pub­bli­co re­sta ano­ni­mo, men­tre chi li ri­ce­ve di­ret­ta­men­te dal­l’en­te pub­bli­co è “pub­bli­ca­men­te” iden­ti­fi­ca­bi­le. Non si trat­ta ov­via­men­te di met­te­re in dub­bio la buo­na fede di tan­ti che fan­no vo­lon­ta­ria­to, ma di ri­cor­da­re a tut­ti i li­mi­ti del­la be­ne­fi­cen­za re­li­gio­sa.

 

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