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Funerali laici di comuni mort(al)i: breve storia triste

Per Giorgio Napolitano non è stato previsto alcun tipo di rito religioso e il suo funerale si è tenuto nell’emiciclo della Camera. Come l’ex presidente della Repubblica, molti altri personaggi noti e di rilievo a vario livello hanno visto realizzare il proprio commiato non religioso e laico in luoghi non solo dignitosi, ma addirittura sontuosi, ampi, attrezzati e coerenti con l’attività a cui il defunto ha dedicato la vita o con il settore al progresso del quale ha contribuito.

Luoghi, questi, concessi a defunti VIP e, di fatto, negati ai comuni mort(al)i cittadini per i quali le rispettive famiglie intendono organizzare una cerimonia non religiosa, in linea con i valori e principi che la persona scomparsa ha perseguito in vita.

In un paese laico e civile i Comuni dovrebbero mettere a disposizione spazi adeguati a tale scopo consentendo così ai cittadini di esercitare, come già previsto dall’ art.18 comma 2 del DPR 285/90, il diritto di «rendere al defunto le estreme onoranze». Purtroppo e senza sorprese per il paese clericale, pochissimi Comuni ad oggi rispettano tale diritto (vedi censimento sale del commiato) e, se interrogate in merito, le amministrazioni comunali pongono come scuse l’assenza di tali spazi o le estreme difficoltà burocratiche per la loro concessione.

Scuse che, come vedremo a breve, non nascondono altro che la scelta ben precisa di ammettere morti di serie A e morti di serie B: se sei VIP puoi ottenere gli spazi che vuoi, altrimenti devi rivolgerti al privato, dunque arrangiarti. Per dare un’idea del fenomeno riporto brevemente alcuni episodi in cui luoghi a gestione direttamente o indirettamente pubblica sono stati adibiti a sale per funerali laici di VIP, partendo dai più recenti.

Il Tempio di Adriano, alle spalle del Pantheon a Roma, è utilizzato qualche settimana fa per dare l’ultimo saluto al sociologo e giornalista Domenico De Masi. Nel 2016 al Teatro Strehler, a Milano, fu allestita la camera ardente di Dario Fo, poi migliaia di persone hanno partecipato al funerale laico per l’attore e regista premio Nobel in piazza Duomo. Lo stesso anno il cortile della Rocchetta del Castello Sforzesco di Milano ha ospitato la celebrazione funebre laica di Umberto Eco. Presso la Sala Cerimonie del Municipio di Casalecchio di Reno (BO) il comune allestì nel 2014 la camera ardente per il partigiano Bruno Monti. Il circolo Uaar di Bologna al tempo commentò in questo modo l’accaduto: «Nel momento del bisogno, quando muore una persona cara, si scopre che i Comuni fanno più o meno quello che fa il Sistema Sanitario Nazionale: finanziano solo — e tanto — il conforto religioso cattolico. I Comuni scelgono infatti di dare soldi pubblici all’edilizia di culto, mentre le sale del commiato per i funerali civili nemmeno esistono, oppure sono rarissime o non usufruibili per burocrazia o distanza fisica». Nel 2010 presso l’Accademia di San Luca si svolsero le esequie laiche dell’architetto Carlo Aymonino.

Gli episodi sopracitati dimostrano due cose: che gli spazi esistono e che le istituzioni e i Comuni italiani privilegiano alcuni cittadini sulla base della loro notorietà o ricchezza. I comuni mort(al)i che pagano le tasse allo Stato non sono forse degni di luoghi solenni (e belli!) per i loro funerali non religiosi? Perché i comuni mort(al)i non possono chiedere il teatro comunale, i giardini pubblici, o le sale già adibite ad altre cerimonie (per esempio quelle di unione) per il loro commiato?

Consiglieri comunali e assessori quando vengono interrogati in merito spesso rispondono con una domanda che rivela lo squallore antidemocratico della loro visione: “Ma voi (celebranti o attivisti Uaar) quante richieste ricevete per i funerali laici?”. Come se spettasse a noi rilevare i bisogni dei cittadini e come se un diritto possa essere concesso “a richiesta” o stabilito laddove ci sia una quota minima di persone a volerlo.

Tale visione conferma che la nostra classe politica prevalentemente confonde, intenzionalmente o meno, la nozione di diritto, ovvero ciò che spetta alla persona in quanto essere umano e che deve essere tutelato, con quella di privilegio, l’attribuzione a un soggetto o a una categoria di soggetti una posizione più favorevole di quella della generalità degli altri soggetti (parafrasando Treccani).

Con questo termina la breve storia triste degli spazi per i funerali laici di cittadini comuni. Con questo continua però anche la nostra battaglia per il riconoscimento di questo diritto negato. Dallo scorso aprile stiamo mappando le sale del commiato pubbliche e private sul territorio italiano (a cui ciascuno può contribuire) e da sempre lavoriamo per garantire pari diritti agli atei e agli agnostici, anche impegnandoci affinché siano poste le condizioni per la tutela delle loro volontà dopo la morte.

Maria Pacini

 

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