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Franco D’Andrea, “Three Concerts. Live at the Auditorium Parco della Musica (Parco della Musica Records).

Franco D’Andrea (1941) è un grande pianista e compositore. Fra i migliori, senza il minimo dubbio, della musica Jazz. Come spesso accade, chi è bravo non sempre riesce a conquistare l’attenzione dei mass media. Dipende in parte dal carattere e dalla scelta, forse di voler vivere lontano dai riflettori. 

Per fortuna ci sono i concerti e i dischi. La PMR, da tempo attenta a valorizzare e a dimostrare la buona qualità raggiunta dal Jazz italiano, attraverso registrazioni parte in studio, parte dal vivo, ha editato un cofanetto di tre dischi che contengono le registrazioni, acusticamente eccellenti, dei tre concerti tenuti il 28 gennaio, il 24 marzo, il 23 maggio del 2014, in occasione della Carta Bianca affidata a Franco D’Andrea, all’Auditorium Parco della Musica di Roma. Premesso che ogni concerto raggiunge livelli di alta godibilità, la mia preferenza va al primo CD, nel quale il pianista è impegnato in trio con il trombettista americano Dave Douglas (1963) e il batterista olandese Han Bennink (1942).

Innanzitutto l’assenza del contrabbasso, a completare la sezione ritmica, non si avverte. Anzi, si apprezza ancor più il pianismo di D’Andrea, dotato di una stupefacente mano sinistra “bassistica”, la destra attenta ad improvvisare, a delineare il tema, mentre entrambe costruiscono il significato di ogni brano. E nemmeno si avverte, se non si guardano le foto o si esaminano i dati della formazione, che Han Bennink sta suonando soltanto lo Snare Drum – il tamburo rullante o a cordiera -, talmente ricca di sonorità e colori risulta la sua percussione, da ascoltare ripetutamente per riflettere su come si dovrebbe suonare uno strumento.

Accanto ai due veterani, non si avvertono i ventuno/ventidue anni di differenza di Dave Douglas, musicista che può suonare con chiunque, anche in progetti non propri, con la certezza di risultare originale e riconoscibile dopo pochi minuti di ascolto, per la sonorità, il timbro, il fraseggio, le soluzioni estrose. E, quanto ad estro, chi più di Han Bennink è in grado di impersonare l’improvvisazione continua, sostenuta da uno swing moderno, ma che proviene dall’amore per i batteristi di un Jazz che non c’è più e al quale è sentilmentalmente legato anche D’Andrea?

Forse solo così si può spiegare il “Groove” che si percepisce all’ascolto. Otto i brani in scaletta, di D’Andrea quelli originali, di Ellington e degli anni della Swing Era gli altri, oltre al quasi onnipresente “Turkish Mambo”, di Lennie Tristano, che il pianista esegue in maniera ogni volta diversa, in questo caso anche nel concerto di piano solo. Carico e dinamico, come nei momenti migliori, Bennink si ritaglia sullo Snare un assolo elettrizzante di poco più di due minuti, senza dimenticare il suo modo di accompagnare con le spazzole, percepibile in altri momenti del disco.

L’unico brano presente in tutti e tre i concerti è “Two Colors” di D’Andrea, dal respiro monkiano, visto l’amore che il pianista nutre per l’estroso musicista, di cui si possono ascoltare anche “Coming on the Hudson”, “Blue Monk”, “Bright Mississippi”, “Monk’s Mood’ ed “Epistrophy”, nel secondo CD, quello col suo collaudato sestetto, che mostra la bravura e l’affiatamento dei musicisti : Mauro Ottolini, trombone; Daniele D’Agaro, clarinetto; Andrea Ayassot, sassofoni contralto e soprano; Aldo Mella, contrabbasso; Zeno De Rossi, batteria. Un concerto che somiglia ad una lunga suite, nella quale il leader lascia ampio spazio alla capacità di ognuno di emergere attraverso brillanti momenti solistici.

Nel terzo CD, un recital appassionante al pianoforte solo offre una sintetica, eppure esauriente, storia del Jazz

Insomma, dopo il doppio CD “Monk and the Time Machine”, in sestetto, un’acuta introspezione nella musica di un Maestro, registrato all’Auditorium Romano il 22 e 23 Aprile del 2013, e prima di una nuova trilogia in uscita, un’ulteriore prova di qualità per capire cos’era, com’è e come potrebbe svilupparsi il Jazz del XXI° secolo.

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