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Fortunati i liberi, perché saranno felici

di Luigi Vergallo

C’è al giorni d’oggi, e in un posto davvero per niente lontano, una sinistra che ai più diversi livelli s’è fatta governo, e mal sopporta pur le più piccole voci che stiano un pochino fuori dal coro. Voci che innocenti abbozzino appena appena una critica, una smorfia, o che soltanto suggeriscano un piccolo, piccolissimo cambiamento di rotta.

Il che rappresenta di certo un mistero, per noi giovani e audaci che siamo fortunatamente scampati agli editti bulgari del più bulgaro di tutti, quello “brutto basso e puttaniere” di Arcore: e forse, a sentire talvolta il livello delle critiche che a Silvio venivano mosse, qualche dubbio avremmo dovuto farcelo venire (quasi poi che fra i nostri – di bassi brutti e puttanieri – ce ne fossero pochi). Ma che la memoria degli umani sia breve si sa. è così breve che in fin dei conti non si riconoscono più nemmeno i propri stessi figli, che sì, magari sono un pochino ribelli ma almeno qualcosa di buono riescono ancora anche a dire.

Insomma, in questo regno davvero per niente lontano quest’insofferenza del re, per quanto nudo egli al momento si trovi, si trasforma quasi sempre in un processo su pubblica piazza. Va da sé che il luogo consacrato a questi pubblici processi sia al giorno d’oggi Piazza Facebook, una piazza davvero potente, tanto utile ma così mortalmente capace di mandare a ghigliottina ancor prima che sia stato ascoltato pure il primo fra i testimoni.

Fra i molti che potrei citare mi hanno colpito in particolare due casi. Il primo riguarda “il noto” Aldo Giannuli, il quale ha aperto il dibattito sulla crisi dell’università pubblica rivolgendosi anche ai docenti. I quali, egli ha sostenuto, rappresentano “un ceto” e quasi del tutto di sponda PD. Benissimo. Poco importa che Giannuli abbia sollevato un problema reale, muovendo peraltro dalla progressiva riduzione dei finanziamenti cui abbiamo assistito negli ultimi anni, e poco importa che Giannuli ci suggerisca di ragionare su un tema, condivisibile o meno ma di certo originale (e comunque pur sempre di un personale e legittimo punto di vista si tratta) come quello relativo alla possibilità di creare atenei di un tipo nuovo, diverso, né privati né pubblici ma magari espressione di gruppi, di partiti, di sindacati, e chi più ne ha più ne metta: verrebbe da dire, e ci tornerò, “chi più ne ha più ne metta, purché si tratti di idee”.

Le risposte, le inviperite risposte cui gli audaci come Giannuli quasi quotidianamente si sottopongono sono sempre fulminee, sono banali battute, illazioni; mai che si legga una critica che muova da un’idea, da un’idea altra e diversa. Perché questa sinistra dell’era post-berlusconiana, che si è fatta governo, sembra averci qualcosa che non va, con la produzione di idee, e tutto procede fra una battuta e un post capace di raccogliere un sacco di like in pochi minuti, in virtù soprattutto di questi nuovi e rigidissimi apparati di partito che si muovono oggi su Facebook e che tutto controllano e vedono.

Di conseguenza, mai sapremo cosa ne pensano Tizio Caio e Sempronio della proposta di Giannuli, ma di certo sapremo che Giannuli legge poco, scrive troppo, magari guarda poca tv e mangia troppa pastasciutta coi funghi.

Ne ho pure un altro, di caso eclatante. “Infuria” proprio mentre io scrivo e riguarda Genna Giuseppe, alias “il sovversivo”, il quale non ha fatto in tempo a pubblicare il suo articolo sull’Internazionale (un po’ critico verso la giunta di Milano) che già su Facebook è diventato un triste giornalista perché scrittore mancato (!). Proprio così, uno “scrittore mancato”, hanno scritto di Genna. Rivelando dunque di nemmeno sapere chi fosse, e non accorgendosi peraltro che aveva scritto un articolo degno della migliore letteratura italiana dal punto di vista del suo inconfondibile stile (scopro in questo momento che sembra essersene accorto almeno il figlio di un noto editore della città di Milano; consoliamoci un po’…). Salvo poi sostenere una volta colti in flagrante, bravi allievi di Silvio, che “va bene dai, scrivere libri non dà diritto alla patente di scrittore”; ché certo, chiederemo al partito se possiamo chiamare scrittore quel pirla di Genna (che intanto immagino tutto triste e preoccupato perché ha scoperto che l’intellighenzia di sinistra di questa nostra Milano non sa nemmeno chi sia).

Nessuno tocchi la giunta, nessuno tocchi il governo, nessuno insinui che le cose si possano fare anche meglio; nessuno dica niente a nessuno, insomma, e non importa che in questo modo noi, e sottolineo “noi”, ci si condanni a perdere per altri vent’anni. Teniamo basso il livello, non diamo nell’occhio, non parliamo di niente, oppure parliamo soltanto per slogan, ché sono quelli e quelli soltanto che poi prendono un sacco di like. Coraggio, compagni, facciamoci male, ché in fondo ci piace. Ma nelle urne non si contano i like, e per la strada ancor meno.

Luigi Vergallo (Gigi)

Questo articolo è stato pubblicato qui

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