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Fortapasc

Sempre la solita premessa: non sono un critico, chi mi legge ogni tanto qui lo sa bene. In questo caso, però, ci tengo a sottolinearlo nuovamente.

Perchè Fortapasc, il film di Marco Risi con Libero de Rienzo, Valentina Lodovini, Michele Riondino, Massimiliano Gallo, sceneggiato in modo egregio con cuore e passione civile da Andrea Purgatori e Jim Carrington, meriterebbe un critico che lo raccontasse. Per fortuna in molti lo hanno già fatto. Io sono solo quella seduta in sala, in fondo a sinistra... Una che si è innamorata di questo lavoro piano piano. Anche il film, il racconto degli ultimi mesi di vita di Giancarlo Siani unico giornalista morto ammazzato per mano della camorra, a mio vedere parte piano. Poi, di botto, decolla.

Napoli, 1985. Giancarlo, come si suol dire, nasce bene. Vive al vomero ma tutte le mattine scende nell’inferno di Torre Annunziata, una Fortapasc made in Italy, e vede, e racconta. Vede bene (le lotte fra bande camorriste, il voto di scambio, lo spartirsi dei soldi per la ricostruzione del dopo terremoto, la droga) ma soprattutto racconta bene sulle pagine del quotidiano Il Mattino. E’ questa la cifra del bravo giornalista. E lui è bravo. E’ anche precario, abusivo, e ci spera in quel posto fisso. Se non ricordo male il tesserino lo consegnarenno nelle mani della sua famiglia solo dopo morto.

Aveva 26 anni la sera del 23 settembre 1985, quando, sotto casa, lo ammazzarono. Ne avevo 28 quando, il giorno dopo, lessi le poche righe che riportavano il fatto pubblicate in un taglio basso di qualche giornale.+ù


Fortapasc l’ho visto ieri. Di colpo, avevo di nuovo 28 anni. E più guardavo e più mi sembrava di conoscerlo Giancarlo - ogni volta che non era stato coerente, ogni volta che non era importante, ogni volta che qualcuno si era preoccupato per lui... ogni volta che era rimasto con la testa fra le mani...

La sera che l’hanno ammazzato doveva, con la sua donna, andare a sentire il concerto di Vasco Rossi, quello in cui avrebbe cantato anche "Ogni volta", la Canzone del film. L’hanno freddato a bordo della sua Mehari, che per inciso nel film è proprio la sua, proprio quella in cui l’hanno ammazzato. Avevo 28 anni e ci credevo, ci volevo credere, in quel tipo di giornalismo. Fino a qualche tempo fa ci credevo molto meno. Oggi, ci credo di piu.

La signora che era seduta accanto a me alla fine piangeva. Tutti, me compresa, battevamo le mani.

Ps: c’è una battuta del film che vale il viaggio. Giancarlo arriva sul luogo del massacro di camorra a Torre Annunziata del settembre dell’85. - Ne hanno seccati sette, dice più o meno così il suo amico carabiniere. Poi guarda a terra e vede il cadavere di un ragazzo, un garzone di macellaio. No otto... - Ecco, il film parte da qui. Se lo andate a vedere, e lo andrete a vedere, capirete perchè.


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