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Formigoni, amen?

Dopo 17 anni a capo della Regione Lombardia, l’esponente ciellino alla fine ha ceduto rassegnando le dimissioni. Da mesi ormai Roberto Formigoni era coinvolto negli scandali che avevano come protagonisti faccendieri e politici. Finisce anche l’era del Celeste?

Difficile dirlo, visto che anche il suo più grande elettore, Silvio Berlusconi, dopo la sentenza di condanna sta cercando (disperatamente?) di ritornare a galla. Ma è ormai chiaro che gli intrecci ambigui tra politica, affari e clericalismo, in cui Comunione e Liberazione e la Compagnia delle Opere hanno fatto la parte del leone, rappresentano la cifra caratteristica del distorto sistema sussidiarista lombardo. La sanità regionale ‘benedetta‘ è diventata il terreno privilegiato dove tale fenomeno è esploso in maniera più lampante.

Da ricordare l’epopea dell’ospedale San Raffaele, gestito dalla Fondazione Monte Tabor e da don Luigi Verzè. A rischio crac, con un buco di circa un miliardo di euro nonostante fosse massicciamente sussidiato tramite fondi regionali. Gli stretti e imbarazzanti contatti tra diversi politici locali, come l’ex assessore alla Sanità regionale Antonio Simone, imprenditori come Pierangelo Daccò e lo stesso Formigoni. Tutti rigorosamente in quota Cl. Finché anche Formigoni è finito tra gli indagati per i rimborsi alla Fondazione Maugeri.

Con le dimissioni del Celeste torna ancora una volta prepotente la necessità di interrogarsi sulla tenuta etica e sulla correttezza del modus operandi clericale in politica. Il caso di Formigoni, esponente di primo piano di un movimento ecclesiastico, è paragdimatico di un disinvolto modo di concepire la gestione della cosa pubblica, esercitata grazie alla creazione di un condizionamento sociale non dissimile da quello tipico di Cosa nostra. “Più società, meno Stato”, era il motto di Comunione e liberazione: e di Stato (e di fondi statali) ce ne sono ora assai di meno, in Lombardia, dopo il passaggio delle cavallette di don Giussani.

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