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Fondi pensione, investire ed investirete

Come ormai sanno anche i paracarri, in Italia è divenuta questione di vita o di morte “fare affluire”, “canalizzare” o altra immagine idraulica, il denaro dei risparmiatori verso le imprese, meglio se piccole e medie. Ormai ne parlano anche nelle previsioni del tempo, è la nuova crociata nazional-popolare, il proiettile d’argento che ci salverà dalla perdizione. Nel frattempo, si scoprono gli arcinoti problemi della previdenza complementare volontaria, come ad esempio l’interruzione dei versamenti causa crisi, ma anche l’esosità della pressione fiscale sullo strumento previdenziale integrativo. Gli scopritori di queste criticità tendono ad appartenere allo stesso gruppo di quelli che li hanno provocati.

E così capita che ieri, all’illustrazione della relazione annuale della Covip (la commissione di vigilanza sui fondi pensione), alla Camera, il ministro del Lavoro, il simpatico cooperatore romagnolo Giuliano Poletti, segnali che “c’è l’esigenza che una quota maggiore di risorse venga impiegata in Italia e nell’economia reale”. E sin qui ci eravamo arrivati, diciamo. Ammesso e non concesso di capire che “i soldi nell’economia reale” si mettono se il rischio è adeguatamente remunerato, e non saremmo così sicuri che questo concetto sia pienamente colto dai nostri policymaker, che pare vogliano trasformare i lavoratori italiani in altrettanti venture capitalist d’assalto. A parte ciò, Poletti è consapevole di come mettere più risorse nell’economia reale italiana “non sia semplice”, e che si tratti di “un terremo che va abbondantemente lavorato” (ah, la saggezza campagnola!), soprattutto

[…] citando la questione della tassazione (26% sui rendimenti finanziari, ndr) cui fondi ed Enti pensionistici dei professionisti sono sottoposti (Ansa, 9 giugno 2016)

Ecco, appunto. Però Poletti dovrebbe sforzarsi di ricordare che quella tassazione è stata imposta dal governo di cui egli è parte. Ricordate? Noi si. Poletti invece dov’era quando la misura fu presa, a far spesa alla Coop? Ma, come ormai saprete, il problema maggiore di questo paese è la grave forma di demenza politica di cui soffrono gli elettori e di conseguenza gli eletti.

Tra le altre perle della giornata vi segnaliamo quella del patriottico presidente della Covip, Mario Padula, il quale ha ricordato che

«Il 62,6% delle attività è investita in titoli di debito, di questi il 78% è costituito da titoli di Stato, mentre il 16,7% degli attivi è costituito da titoli di capitale e il 12,8% da Oicr»

Ora, se Padula fosse un filo più presente a se stesso, avrebbe certamente unito i puntini e segnalato che forse questo succede, oltre che per tradizionalismo dei gestori delle casse previdenziali, perché i titoli di stato di paesi Ocse in Italia sono tassati al 12,5%. Ops. Ma se lo avesse fatto, avrebbe risposto a Poletti ed al governo in un modo non troppo diplomatico, anche se si sarebbe reso utile a “lavorare il terreno”, diciamo. Padula ha invece optato per un’osservazione suggestiva, nel senso etimologico del termine:

«[…] Nelle forme pensionistiche complementari, gli investimenti nell’economia italiana, pur se significativi, sono inferiori a quelli all’estero: i primi ammontano a 38,6 miliardi di euro, pari a circa il 36% delle attività considerate, mentre i secondi totalizzano 62,2 miliardi, corrispondenti a circa il 58% di tali attività»

Male! Che diavolo di patrioti siete? Beh, ma se Padula avesse in testa come funzionano di solito i benchmark con cui si gestiscono i portafogli saprebbe che l’Italia, a fini di banale diversificazione, pesa poco e nulla su indici azionari globali ed un pochino di più su quelli obbligazionari governativi (ma questo non è un titolo di merito, visto che parliamo di debito), e che comunque avere in media il 36% di asset italiani nei fondi pensione complementari è pura assurdità, trattandosi di un sovrappeso abnorme e poco o nulla accettabile da qualsiasi gestore degno di questo nome. Ma forse queste sono considerazioni assai poco “istituzionali”. I lavoratori ed i professionisti sappiano comunque che avere una previdenza complementare così pesantemente investita sull’Italia è un oggettivo rischio per le uova del loro paniere. Quindi verifichino meglio le linee di investimento che hanno sottoscritto, e restino vigili. C’è sempre un padulo subordinato che vola basso e punta verso di voi, sappiatelo.

A proposito di caccia al risparmio privato, l’ultima perla di questa giornata viene dal segretario confederale della Uil, Domenico Proietti. Il quale, visto che il sindacato è co-gestore dei fondi previdenziali di categoria, si è entusiasmato per la relazione di Padula, ha rilanciato pesantemente l’opt-out, dove tutti i lavoratori sono iscritti d’iniziativa al fondo pensione (e non al Tfr), a meno di esplicito dissenso, ed ha scolpito:

«Il nostro modello è all’avanguardia nel mondo, sia per i buoni rendimenti di questi anni che per la trasparenza che ne contraddistingue la gestione»

Sulla trasparenza della gestione non sapremmo dire, ma Proietti dovrebbe sapere che i “buoni rendimenti” derivano dal fatto che i mercati finanziari fanno segnare da molti anni performance decisamente positive, anche grazie alle iniziative delle banche centrali. Quindi, essendo i fondi pensione complementari legati a precisi benchmark, vantarsi di performance passate conseguite per il solo fatto di aver replicato il parametro di riferimento a noi non pare esattamente un commento informato. Ma sono dettagli. L’impressione è che questo convivio della Covip sia stata l’occasione non solo per fare sfoggio della nota insipienza e delle amnesie selettive della nostra classe sedicente dirigente, ma anche per ribadire che la stagione della caccia al risparmio privato, mossa da autentici spasmi di panico, è più aperta che mai.

 

Le vie della repressione finanziaria non saranno infinite ma certamente sono molto numerose.

 

Foto: p'tits vieux de Paname

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