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Fiorella, la "cantastorie"

Non sono un assiduo frequentatore di concerti, le grandi masse vocianti ed inneggianti di spettatori e fan, che in genere caratterizzano tali eventi, mal si conciliano con il mio soggettivo piacere e il gusto riservato di ascoltare buona musica e belle voci in adeguata concentrazione; preferisco, insomma, le manifestazioni più raccolte, dove sia in partenza previsto un contenuto numero di posti - possibilmente prenotati – e venga magari dato di sistemarsi intorno ad un tavolino alla stregua di un bar all’aperto: in siffatta cornice, allora sì che mi piacciono e ne godo.

E però, anche io mi scopro sensibile ed aperto a qualche eccezione: ed è una deroga, appunto, una gradevole deroga, la serata che sto vivendo per un concerto di Fiorella Mannoia.

Non mi è per niente di peso attendere l’arrivo di Fiorella sul palco, la sola certezza della sua apparizione già mi appaga: ma, ecco che la figura longilinea dell’artista, alle falde della particolare solita chioma, si staglia tra i riflettori e gli orchestrali producendosi di getto,con la sua bella voce impostata e insieme pastosa, nei primi gorgheggi e vocalizzi che, almeno a me, sembrano proprio speciali, giacché hanno il potere e il pregio di prenderti, in un ascolto d’incanto, fin dentro l’animo. Sembra che la fulva signora voglia parlare al profondo dei presenti, al massimo profondo di ciascuno.

Nel panorama della musica leggera italiana, la Mannoia si colloca ed è etichettata come “interprete raffinata e d’eccellenza di canzoni d’autore”. Tale definizione risulta indubbiamente appropriata alla luce delle scelte di sempre del personaggio, il quale invero rifugge, forse per carattere, dai successi ridondanti, amplificati e agevolati dai principali circuiti mediatici che, ormai lo sappiamo, riescono ad attrarre le folli come mosche e preferisce, invece, restare fedele al proprio inconfondibile stile che, peraltro, è solito vivere con particolare partecipazione ed intensità espressiva.

Da non addetto ai lavori, il mio pensiero è che, così come ieri si sono distinte e ci hanno offerto indimenticabili emozioni le regine della canzone italiana che rispondono ai nomi di Mina e Vanoni, oggi l’interprete per eccellenza e di maggiore classe si identifichi senza ombra di dubbio con Fiorella.



A questa seria e scrupolosa artista mi piace conferire, con affetto, l’appellativo di “cantastorie”: ciò, nel senso più alto e più bello dell’accezione, intendendo far riferimento ad una individualità che va cantando e insieme raccontando, sottolineando e fermando, tante e tante sfaccettature del vivere contemporaneo (guerre, globalizzazione, sofferenze di popoli e di singoli, ingiustizie, tradizioni, posti dimenticati, immagini desuete, campagne verdeggianti, mare, cielo, stelle, fino ai patimenti, alla morte, all’amore.

Nei testi, e in genere nelle canzoni di Fiorella, scorrono, come in un’enciclopedia di sussulti e di sentimenti, sequenze di realtà che gli autori e l’interprete rivestono di un prevalente filo conduttore: apertura e disponibilità verso gli altri e specialmente all’indirizzo di chi soffre.

E poi alla fine riecheggia, con toni convinti e fra suggestioni accattivanti e originali, anche la fiducia di poter sempre superare le difficoltà e gli eventi tristi, ivi compresa la conclusione di un amore o la perdita di una persona cara.
Fiducia, anzi certezza, di sopravvivere.

Sono questi, raccontati con spontanea semplicità, alcuni frammenti dei messaggi proiettati dai versi della bravissima artista romana.

 

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