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Festeggiamo le foreste: abbattiamo gli alberi

È passato un anno da quando Greenpeace varava la campagna per una coscienza ambientalista nell’ambito dell’editoria. La maggioranza degli editori non conosce o non vuole conoscere la provenienza della carta sulla quale stampano i loro libri. Gli esiti di quella campagna non furono entusiasmanti. Solo una minoranza degli editori scelgono di rifornirsi di carta sostenibile aderendo al progetto di Greenpeace “Editori amici delle foreste”, stilando una classifica e proponendo un gioco che salva le foreste.
In questo 2011, dichiarato dalle Nazioni Unite l’Anno internazionale delle Foreste, appare tragicamente surreale l’interminabile attività di disboscamento in Amazzonia come nel Borneo, Greenpeace torna all’assalto dell’editoria selvaggia, con l’iniziativa “Scegli i libri e salva gli alberi!”, per tentare un diverso approccio al problema della carta non certificata, come stimolo alla campagna Deforestazione zero entro il 2015.
 
Sperimentato il disinteresse degli editori al problema dell’abbattimento selvaggio degli alberi, e non solo per la carta, Greenpeace si rivolge ai lettori, perché esigano solo libri su carta riciclata o su quella definita "amica delle foreste". Una campagna che ha trovato anche l’adesione di Radio3, attraverso una serie di spot, e degli approfondimenti su diverse trasmissioni.
 
Il Brasile e l’Indonesia contribuiscono al 40% delle emissioni globali CO2, occupando rispettivamente il terzo e il quarto posto, con il loro continuo disboscamento non solo per trarre profitto dagli alberi per il legno e la carta, ma anche per ampliare le aree coltivabili o da destinare all’allevamento, condannando numerose specie di flora e di fauna all’estinzione.
 
Il Congresso brasiliano ha votato, approvandolo, il progetto di legge che cambia il Codice Forestale, fino ad oggi il principale strumento legale per proteggere la foresta amazzonica. La nuova norma ridurrà la protezione di questo ecosistema e concederà l’amnistia generale ai casi precedenti di deforestazione.
 
In Brasile sono gli allevatori ad impegnarsi con zelo nel taglio delle foreste: la distruzione è aumentata del 800% rispetto all’anno scorso, sperando nella ratifica del Senato e successivamente alla firma della Presidente Dilma Rousseff, della nuova legge licenziata dalla Camera bassa per mandare in pensione la protezione delle foreste e concedere l’impunità anche per crimini passati.
 
Un progetto di legge che modifica il Codice Forestale, fino ad oggi il principale strumento legale per proteggere la foresta amazzonica. La nuova norma ridurrà la protezione di questo ecosistema e concederà l’amnistia generale ai casi precedenti di deforestazione.
 
Un business quello del disboscamento che non si limita ai crimini contro gli alberi e gli animali, ma anche verso le persone. Verso le popolazioni e chi difende la loro terra, come l’uccisione di José Claudio Silva e sua moglie Maria do Espírito Santo, avvenuta a maggio, seguita da quella di Adelino "Dinho" Ramos.
 
A giugno è stata la volta di Obede Loyla Souza, impegnato per la causa dei contadini senza terra nella regione del nord dello stato del Para Pacaja.
 
Una lunga scia di sangue che risale all’assassinio eccellente di Chico Mendes nel 1988, attivisti impegnati per l’utilizzo sostenibile delle risorse amazzoniche incentrate in gran parte sulla produzione della noce di anacardio e della noce Macadamia, per il commercio Equo e Solidale.
 
La deforestazione, come il rimboschimento, è una lucrosa attività, tra l’incoraggiare l’abbattimento delle foreste, contemporaneamente riuscire a farsi assegnare i fondi per il rimboschimento o addirittura quelli contro la deforestazione.
 
Se sono un affare gli studi e le pubblicazioni sull’argomento, è anche vero che può esistere una relazione tra sviluppo e ambiente, come viene evidenziato nel recente libro “Il continente verde. L’Africa: cooperazione, ambiente, sviluppo” (Jean-Léonard Touadi e Ilaria Cresti), senza declinare unicamente in termini di salvaguardia e di protezione. Valorizzare l’ambiente e salvaguardare l’ecosistema, da saccheggi e sfruttamento selvaggio, significa preservarne la capacità di generare risorse, anche economiche dell’Africa sub-sahariana, come i capitoli dedicati al Congo (Conservazione delle foreste nella Repubblica Democratica del Congo: sfide e opportunità di Raymond S. Lumbuenamo e Conferire potere agli attori locali per una gestione partecipativa delle risorse naturali, attraverso la risoluzione dei conflitti: l’area del Congo orientale di Deo Kujirakwinja), area che non trova pace, ma dove i trafficanti di materie prime, come di armi, riescono a realizzare considerevoli guadagni.
 
Nell’isola di Sumatra (Indonesia), l’attività di deforestazione perpetrata dalla multinazionale APP (Asia Pulp and Paper), costringe le tigri ad avvicinarsi sempre alle abitazioni, rimanendo vittime delle trappole per la cattura dei cinghiali, impegnando le guardie forestali in operazioni di salvataggio, una di queste documentata da un video di un componente di Greenpeace, non sempre con un risvolto positivo. Sofferenze inflitte all’habitat per trarre profitto dalla polpa di cellulosa e olio di palma, senza alcuna pacata programmazione.
 
Salvaguardare le foreste del Brasile, dell’Indonesia e del Congo, significa contenere l’emissione del CO2 e la desertificazione. Problema che alcuni paesi africani cercano di affrontare da anni con la creazione di un muro di vegetazione che dalla costa orientale si protende sino a quella occidentale, superando conflitti e prepotenze tribali.
 
Potremmo ritrovarci tutti come nel libro “La fine del mondo storto”, di Corona Mauro, con l’aver esaurito tutte le fonti energetiche strappate alla Terra e non saper sopravvivere.

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