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Falcone e Borsellino, morti per uno Stato che non li meritava (e non li merita)

Vent’anni fa Falcone e Borsellino, con le rispettive scorte, finivano dilaniati da Cosa nostra. Da allora è cambiato qualcosa? Oggi la mafia è in giacca e cravatta e fa affari d’oro.

Non bisognerebbe accodarsi ai peana convenzionali per il ventennale della morte dei due magistrati Giovanni Falcone (strage di Capaci, presso Palermo, 23 maggio 1992) e Paolo Borsellino (strage di via d’Amelio, Palermo, 19 luglio 1992): tali peana sono penosi ed ipocriti. Sarebbe meglio dire ai due morti ammazzati dalla mafia: guardate cosa è stato fatto dopo la vostra uccisione. Ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo cercato di costruire un’Italia meno approssimativa della precedente? Soprattutto non criminogena?

Invece di assistere alle performance di Fabio Fazio e di Roberto Saviano (i meriti di quest’ultimo stanno svanendo in svolazzi da avanspettacolo; non parliamo del primo, ormai in stato compiaciuto di coma pseudo-intellettuale), si dovrebbe insistere con la richiesta di sapere cosa si sia fatto in realtà per debellare certi mali, purtroppo cronici nel nostro caotico Paese. Con le tradizionali lacrime agli occhi, con i pistolotti saputi e risaputi, si può solo ottenere una commozione prêt-à-porter. E via con la prossima pubblicità. Purtroppo gli ultimi vent’anni sono stati caratterizzati dalla peggiore conduzione politica e governativa che la memoria italiana ricordi.

Per rimanere sul pezzo, con la mafia si è fatto – sostanzialmente – il meno possibile, affinché, di fatto, non cambiasse nulla. I gangli tradizionali fra mafia e cosiddetto “paese civile” sono rimasti intatti e magari si sono rafforzati, anche grazie alla rimozione del falso in bilancio (tra l’altro, un buon escamotage per il riciclaggio di denaro sporco) e all’estensione a 360 gradi della corruzione negli appalti pubblici. La mafia oggi è ovunque e ha messo la cravatta. Lo Stato toglie di mezzo i mafiosi storici, ridotti ormai a poco più di ruba galline. Il mafioso moderno assomiglia a un serio uomo d’affari, muove milioni di euro in mille business, persino puliti (apparentemente, o comunque ben lavati) e può contare su valide coperture. Il denaro può veramente tutto. Oggi più che mai.

Falcone e Borsellino, va detto, appartenevano a un’Italia ingenua, cioè seria: senza volerli incensare né trasformare, offendendoli, in santini, non si è sicuramente fuori strada nell’affermare che, come molte altre persone perbene (in Italia ce ne sono tantissime, ma stanno o vengono spinte nell’ombra), hanno incarnato l’idea di civiltà, attribuendole un senso forte e rappresentando un’ancora di salvezza per le anime belle e sane.

Sui mass media, massicciamente, prevale oggi uno stucchevole tran tran, protetto da un sistema di lacchè, che funge da droga e da sonnifero, secondo convenienza, tramutando in “bla bla” qualsiasi idea, ogni principio, qualunque impegno civile. Trasformando tutto in spettacolo mediocrissimo e distaccato dalla realtà. Facendo trionfare il disimpegno e il disinteresse, vincere l’apparenza e la parodia, sostenendo parole reboanti sopra concetti deboli. Falcone, Borsellino, e le rispettive scorte, non possono riposare in pace, purtroppo.

Dario Lodi

Questo articolo è stato pubblicato qui

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