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Ex SID, un Centro di Detenzione Clandestino in stile Liberty. Storie di desaparecidos in Uruguay

Articolo di Patrizia Gradito e Nicola Viceconti.

Dopo i due articoli dedicati agli ex Centri Clandestini di Detenzione “El Olimpo” [1] e “ESMA”[2], entrambi situati nella città di Buenos Aires, ci spostiamo a Montevideo in Uruguay, per la terza tappa del reportage dedicato all’identità e alla memoria dei desaparecidos, vittime delle dittature che si sono abbattute alla fine degli anni ‘70 nei due Stati rioplatensi. È la volta dell’ex sede del Servizio de Informaciòn de Defensa (SID) convertito – con la legge 548 del 9 gennaio 2012 - nel primo “Sito di Memoria recuperato” dell’Uruguay. Tale edificio assume particolare rilevanza non solo per le atrocità commesse all’interno, ma anche perché da qui venivano coordinati gli “operativos” (interventi delle forze speciali) a livello nazionale e regionale.

Il suggerimento a visitare questa casa-simbolo delle gravi violazioni sistematiche ai diritti umani perpetrate dallo Stato uruguaiano durante gli anni del terrorismo di stato (1973-1985) ci è stato offerto dall’amica Silvia Bellizzi, sorella di Andrés Humberto Bellizzi, desaparecido uruguaiano in terra argentina. Alla famiglia Bellizzi va il merito, insieme ad altri familiari di desaparecidos, di aver dato avvio nel 1999 al processo contro il Plan Condor celebrato in Italia. Proprio in questi giorni sono state pubblicate le motivazioni della Sentenza datata 8 luglio 2019 che ribalta quella di Primo Grado del gennaio 2017, in cui su un totale di 33 imputati erano stati condannati solo i vertici ovvero la cupola politico-militare. Con il pronunciamento dell’8 luglio 2019, la Corte d’Assise d’Appello di Roma ha condannato all’ergastolo i 24 ex militari delle dittature di Uruguay, Cile, Bolivia e Perù, la quasi totalità degli imputati ancora in vita legati al processo contro l’Operazione Condor. Le motivazioni hanno generato una forte soddisfazione tra i familiari dei desaparecidos, poiché, come fa notare Aurora Meloni, (parente di una delle vittime e denunciante), non lasciano alcun margine interpretativo: “Il Terrorismo di Stato è stata la politica dei paesi dell’America Latina portata avanti negli anni Settanta. Il Plan Condor non solo non è una fantasia di qualcuno, ma ci sono documenti con tanto di firme e date, in cui si pianifica dettagliatamente la strategia di eliminazione dell’opposizione ai regimi militari autoritari di quel periodo. Sono trascritti nomi e cognomi, non c’è nessun dubbio. Ci sono prove inconfutabili.”

Quando incontriamo Silvia è con la mamma, Maria Bellizzi che, nonostante i suoi 95 anni, è disponibile al colloquio e accoglie le nostre domande partecipando energicamente alle riflessioni relative al dramma vissuto in prima persona. Originaria di San Basile in provincia di Cosenza e referente dell’Associazione des Madres y Familiares de Detenidos Desaparecidos, insieme alla figlia Silvia, non ha mai smesso di lottare per la verità e la giustizia per il loro congiunto desaparecido. Si sono appellate anche al Presidente della Repubblica italiana Mattarella nel 2017.

Chi è Andrés Humberto Bellizzi?

Nasce a Montevideo il 21 aprile 1952. Dopo aver completato gli studi, cura la pubblicazione del giornale di quartiere "El Sol" e lavora nel settore della pubblicità come fumettista. Entra a far parte del settore studentesco del ROE (Resistencia Obrero Estudiantil). Emigra a Buenos Aires nel 1974, dove viene arrestato il 2 giugno dello stesso anno con altri cento uruguaiani mentre preparava una manifestazione per commemorare il primo anniversario del colpo di stato in Uruguay. Viene rilasciato circa un mese dopo. Fino al momento della sua scomparsa, Andrés Bellizi si reca regolarmente a Montevideo per fare visita alla sua famiglia di origine. Durante il soggiorno in Argentina svolge attività lavorativa nel settore della pubblicità della società Nestlé in collaborazione con Jorge Gonçalvez Busconi, Carlos Ramírez e Ricardo Pérez. Quest'ultimo è stato in seguito il suo partner nel laboratorio di pittura e propaganda “Tabaré”, l'ultima delle imprese del lavoro di Bellizzi. Scompare il 19 aprile 1977, mentre si reca a Villa Martelli, (provincia di Buenos Aires), per svolgere un lavoro presumibilmente presso una sede della società Avon. L’ipotesi più accreditata è che Andrés e il suo ex socio e amico Jorge Gonçalvez siano stati portati nel centro di detenzione clandestino "Club Atlético", dove sono stati interrogati da ufficiali dell'intelligence dell'esercito uruguaiano. (Info tratte dal Rapporto di madri e parenti di uruguaiani detenuti scomparsi, Montevideo, 2004).

La Visita

Prima di condurci nelle diverse aree dell’Ex SID, ubicato al civico 1532 di Via Bulevar Artigas, la guida ricostruisce brevemente la storia dell’elegante palazzina. Edificato nel 1914, in stile Art Noveau, dall’architetto Luis Serè del Campo, lo stabile viene venduto nel 1970 al Ministero della Difesa per alloggiare al suo interno il Centro operativo del servizio del SID fino al 1976, anno in cui viene trasformato in un Centro Clandestino di Detenzione per prigionieri politici. Al termine della dittatura la casa ha ospitato il Centro di Alti studi Nazionali (CALEN) del Ministero della Difesa. Nel 2012 la Presidenza della Repubblica ha destinato l’immobile quale sede dell’Istituzione Nazionale dei Diritti Umani e Difesa del Popolo (INDDHH).

L’ingresso al Sitio por la memoria avviene attraverso una sala, all’epoca adibita a “cella comune”. Dalla fine di agosto al dicembre del ’76, in questo spazio furono recluse ventiquattro persone sequestrate nella capitale porteña e trasferite in questa sede dal centro clandestino di detenzione Automotores Orletti. Guardandoci intorno condividiamo una sensazione di incredulità nel constatare la dissonanza tra l’eleganza della facciata e dell’architettura dell’intero edificio, la pavimentazione e le ampie vetrate colorate con l’efferatezza delle violazioni dei diritti umani perpetuati all’interno in totale segretezza. Il SID, come altri servizi di intelligence della regione, ricopriva un ruolo ben preciso nell’ambito del Plan Condor che, com’è tristemente noto, consisteva nell’accordo tra le forze repressive delle diverse dittature del Cono Sur per condividere informazioni utili alla cattura, tortura e sparizione forzata degli oppositori politici. La ricostruzione originaria della “Cella comune” è stata disegnata sulla base dei ricordi del giornalista uruguaiano Enrique Rodriguez Larreta, anch’egli sequestrato dapprima al Centro Automotores Orletti e poi trasferito in questo luogo, per essere liberato nel dicembre del ’76. La preziosa testimonianza di Enrique Rodriguez Larreta ha costituito le fondamenta della denuncia internazionale avanzata nel marzo del 1977 a Londra, davanti a una commissione di Amnesty International.

Al centro della sala è esposta “La terra promessa”, l’opera dell’artista Raquel Bessio, presentata nel padiglione dell’Uruguay alla biennale di Venezia del 2011. Proseguiamo la visita. La stanza successiva è un piccolo “deposito” di vestiti appartenuti a chi è stato sequestrato. La sala n. 3 è dedicata alla narrazione dei trasferimenti a cui sono state sottoposte le persone rapite in territorio uruguaiano. Secondo alcuni testimoni, questo spazio era riservato alle visite mediche dei detenuti prima di essere trasferiti in altre carceri o per falsificarne l’identità. Un testimone ha dichiarato che in questa stanza veniva praticato il “submarino” (tortura che consiste nell’immergere la testa del condannato in un secchio d’acqua fino a provocarne un principio di soffocamento). La sala denominata “Cuarto de tacho”, adiacente a quella degli ufficiali, è quella nella quale si conducevano gli interrogatori preliminari. Oltre al citato submarino, in questo luogo della casa venivano inferte differenti torture (come la nudità forzata, l’applicazione di elettrodi con corrente elettrica, la costrizione prolungata degli arti lasciando i detenuti ammanettati e sospesi a un tubo dal soffitto per ore).

La guida ci accompagna in una sala situata al primo piano dell’edificio, nella quale è stata tenuta prigioniera, tra gli altri, la cittadina argentina María Claudia Iruretagoyena (nuora di Juan Gelman, scrittore, poeta e giornalista argentino, scomparso nel 2014). Al momento del sequestro, avvenuto tra ottobre e dicembre del 1976, María, di appena diciannove anni, si trovava insieme a suo marito Marcelo Ariel Gelman ed era incinta di sette mesi. Marcelo, 20 anni, viene trasferito a Automotores Orletti dove è sottoposto a torture prima di essere ucciso, presumibilmente tra il 4 e il 9 ottobre del 1976. Dalle ricostruzioni del processo è emerso che: “Gli hanno sparato alla nuca, infilato il corpo in un barile riempito di cemento e gettato in un canale nel Río de la Plata”. 

Alla fine del periodo di gestazione, María dà alla luce Macarena che resta con lei alcuni giorni, fino a quando un poliziotto uruguaiano si appropria della neonata per adottarla illegalmente. Macarena ha scoperto la sua vera identità nel 2000, all’età di ventitré anni, grazie all’ostinazione e al coraggio di suo nonno, Juan Gelman.

“L'esercito uruguaiano ha trasferito mia nuora, incinta di otto mesi e mezzo, da Buenos Aires a Montevideo, ha atteso la nascita della bambina e, due mesi dopo, l'hanno portata via, uccidendo Maria Claudia in Uruguay” .(Juan Gelman).

Juan Gelman con la scrittura ha contribuito a nutrire la speranza in un mondo più bello e libero da orrori. In rete abbiamo scoperto un commento che riportiamo di seguito espresso da chi ha avuto la fortuna di condividere con il poeta argentino alcuni momenti indimenticabili dei suoi soggiorni romani:

Era a Roma in quegli anni, ci vedevamo spesso “alla mela stregata” e ricordo che parlava di queste sue composizioni che di solito scriveva di notte (“fra lenzuola di grappa e nebbia di Gauloises”) fra una manifestazione del CAFRA, un viaggio, una doccia fatta in casa di amici, un incontro quasi sempre clandestino con i politici italiani, le orecchie attente alle notizie provenienti dall’Argentina. Io mi chiedevo come potesse un uomo così colpito negli affetti più cari continuare a scrivere, credere nelle “parole effimere” della poesia… un altro sarebbe stato schiacciato dal peso del dolore, invece lui è riuscito a sopravvivere e a far vivere la sua poesia”. (Anonimo)

Nell’ex SID vennero trasferiti clandestinamente altri due bambini (Anatole e Victoria, rispettivamente di quattro e un anno e mezzo), figli della coppia Roger Julien e Victoria Grisonas (sequestrati a Buenos Aires e ancora desaparecidos). I due bambini sono stati trovati misteriosamente qualche tempo dopo, in una piazza di Valparaíso in Cile e adottati successivamente da una famiglia cilena.

Dopo un paio d’ore la visita al sito termina e salutiamo la guida che ci fornisce documentazione per ulteriori approfondimenti. Ci lasciamo alle spalle la palazzina bianca. In silenzio c’incamminiamo in direzione del Rio de la Plata un tempo teatro di oscurità per troppi giovani e finalmente oggi illuminato dal sole.


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