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Eutanasia: che disdetta non chiamarsi Max von Fanellen

Max Fanelli non deve morire. Glielo vieta il suo Paese, che pur avendo previsto in Costituzione il diritto alla salute e a non essere obbligati a ricevere delle cure, non ha parimenti previsto che chi intende avvalersi di questi diritti, come lui e altri, ha spesso la morte come unica opzione. Glielo vieta di fatto, impedendogli di poter porre fine a una tragica esistenza in modo dignitoso, indolore. Umano. Lo induce piuttosto a meditare di lasciarsi morire di fame e di sete, come fu costretto a fare Giovanni Nuvoli e come avrebbe dovuto fare Piergiorgio Welby, se non avesse avuto nessuno disposto a correre il rischio di farlo “almeno” morire rapidamente di asfissia staccandogli il respiratore.

Tenere duro in attesa che i capigruppo si decidano a far partire la discussione

Fa quasi rabbia la vuota, probabilmente inevitabile, retorica nelle parole delle più alte cariche istituzionali. È toccato al presidente della Camera Laura Boldrini esortare Max a non rinunciare alle cure, a tenere duro in attesa che i capigruppo si decidano a far partire la discussione sulla proposta di legge di iniziativa popolare per cui il comitato Eutanasia Legale, di cui fa parte anche l’Uaar, ha raccolto 65 mila firme. Il problema è che è già passato un mucchio di tempo, altro ne passerà e Max, nel frattempo, inevitabilmente peggiora. Più o meno lo stesso ha recentemente fatto anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, anch’egli precisando che spetta al legislatore risolvere il problema. Ma il legislatore è troppo condizionato dai moralismi di matrice cattolica per farlo, tant’è che a suo tempo stava quasi per licenziare il famigerato ddl Calabrò, che di fatto recepiva le direttive della Cei per un testamento biologico inutile nella sostanza.

Se Max fosse stato un cittadino tedesco le cose sarebbero molto diverse per lui. La Germania aveva già da ben sei anni una legge che riconosce ampi diritti ai cittadini in merito alle disposizioni anticipate di trattamento, altro che ddl Calabrò. Talmente libertaria che nel 2010, anno successivo alla sua entrata in vigore, la Corte costituzionale tedesca poté stabilire che l’eutanasia passiva nei confronti del paziente che ha espresso il proprio consenso «rientra nella categoria delle forme accettabili di interruzione del trattamento medico». Che è poi quello che in molti paesi, Italia compresa, viene fatto pur in assenza di una norma esplicita — anzi, forse proprio grazie a questo — e pur in assenza di una legge sul testamento biologico. Basti pensare al caso di Eluana Englaro, quando la giustizia italiana acconsentì all’eutanasia passiva sulla base di quanto da lei espresso in vita, e il governo di allora, presieduto da Silvio Berlusconinon fece in tempo a impedirlo, grazie anche all’opposizione del presidente Giorgio Napolitano.

Oggi la Germania è andata oltre varando una legge che regolamenta anche il suicidio assistito, vietando comunque allo stesso tempo qualsiasi forma di lucro ad esso connessa e limitando la possibilità di ricorrervi solo ad adulti consapevoli e sofferenti. Un po’ troppo per la stampa cattolica che è arrivata paradossalmente a dissociarsi da se stessa, con i ciellini di Tempi che hanno titolato “La Germania approva l’eutanasia” e l’organo dei vescovi Avvenire che invece ha scritto “La Germania dice no all’eutanasia”. Delle due è certamente più corretta la seconda interpretazione, visto che le quattro diverse proposte votate dal Bundestag andavano dal divieto totale alla legalizzazione anche per chi non è malato, e quindi si può dire che la Germania ha effettivamente respinto l’eutanasia attiva, anche se rimane pur sempre l’eutanasia passiva che peraltro era ammessa già da prima, come abbiamo visto sopra. Ma quel che più conta è che adesso è ammesso il suicidio assistito, che è poi quello che chiede Fanelli, che hanno chiesto gli altri prima di lui e che in ogni caso chiederanno altri dopo di lui.

Eutanasia attiva solo quando la morte avviene per intervento diretto di una persona

C’è una differenza notevole tra le tre tipologie di morte, cosa che i clericalisti ignorano o fanno finta di ignorare, così da trarre vantaggio dalla confusione. Si parla di eutanasia attiva solo quando la morte avviene per intervento diretto di una persona diversa dal malato, verosimilmente il medico. Al momento questa pratica è legale solo nei tre paesi del Benelux. Si parla invece di eutanasia passiva quando non si induce direttamente la morte ma si arrestano tutte le terapie che permettono il mantenimento in vita di una persona. I casi Englaro e Welby sono di eutanasia passiva, pratica possibile in moltissimi paesi dove non esiste un divieto specifico. Il suicidio assistito, cioè la pratica introdotta adesso anche nella legislazione tedesca (in aggiunta a tante altre), è una cosa diversa perché appunto di suicidio trattasi. Il ruolo del medico è quello di prescrivere e fornire un farmaco che induce la morte, ma è poi il paziente ad assumere autonomamente il farmaco.

La Germania ha dunque adottato una soluzione di compromesso tra le varie proposte presenti sul tavolo. E se lo ha fatto la Germania, costretta comunque a fare i conti con un passato in cui l’ideologia nazista definiva “eutanasia” la soppressione di persone che non desideravano affatto morire ma venivano ritenute non meritevoli di vivere (il famigerato programma “Aktion T4”), tanto che il termine stesso “eutanasia” viene ormai accuratamente evitato, allora può farlo qualunque nazione.

Perfino le due principali confessioni religiose del Paese hanno salutato con soddisfazione il recente provvedimento; del resto già in precedenza i cattolici tedeschi avevano redatto un documento che andava oltre il ferreo divieto imposto dalla parte più intransigente della Chiesa, e il presidente della comunità evangelica aveva addirittura dichiarato che avrebbe potuto sostenere la moglie malata nel caso in cui avesse chiesto di morire. La comunità ebraica è invece rimasta contraria a qualunque ipotesi di suicidio assistito. Per Josef Schuster, presidente del Consiglio centrale degli Ebrei in Germania, «nessuna persona gravemente malata e anziana dovrebbe essere indotta a suicidarsi». È invece concepibile che possa essere costretta a vivere tra le sofferenze?

Massimo Maiurana

Questo articolo è stato pubblicato qui

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