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Euro o non euro?

“La trappola dell’euro” è un saggio che descrive i principali effetti negativi della moneta unica europea e non approfondisce gli effetti positivi più significativi (Badiale e Tringali, Asterios, 2012).

Marino Badiale e Fabrizio Tringali (http://main-stream.it) hanno scritto un’opera che definisce l’euro “una trappola che porterà l’Italia ad un massiccio impoverimento e a un imbarbarimento generale”. Secondo i due autori il debito pubblico non è il vero problema dell’Italia. L’eccesso di importazioni sarebbe collegato all’utilizzo dell’euro, perciò bisognerebbe abbandonare la moneta unica e l’Unione Europea, poiché “sono strumenti politici costruiti appositamente al fine di garantire la realizzazione delle politiche economiche e sociali desiderate dall’élite economico-finanziaria al comando”. Gli studiosi basano le loro considerazioni sulle ricerche di Alberto Bagnai sulle piccole differenze intorno all’1,5 per cento dei tassi di inflazione dei Paesi dell’eurozona e riconoscono che uscire dall’euro sarebbe solo un primo passo. Ma non tengono presente che anche in natura l’animale che esce dal branco o dallo stormo è spesso vittima dei predatori.

Indubbiamente gli interessi da pagare sul debito pubblico italiano aumentano e l’euro può sopravvivere molti anni con l’attuale assetto politico e istituzionale, ma non può sopravvivere molto se non viene riequilibrato l’assetto fiscale: tra i diversi sistemi fiscali nazionali dovrà stabilirsi una certa uniformità nell’ambito di certi parametri, senza arrivare alla totale uguaglianza, altrimenti le imprese si trasferiranno nelle regioni con le imposizioni fiscali più basse. Però l’euro non ha impedito alla Germania di esportare e quasi tutta l’Europa è in difficoltà sui mercati internazionali. E non c’è niente di strano se “la Germania fa crescere la Cina acquistandone i beni coi soldi ricavati vendendo beni a noi” (Alberto Bagnai). È l’atavica e basilare legge degli scambi.

Forse il vero problema dell’euro consiste nel fatto che i paesi che ne fanno parte impongono carichi fiscali molto elevati rispetto a quasi tutte le altre nazioni del mondo. La Germania tassa poco il lavoro, ma non è il paradiso dei lavoratori: più di 7 milioni vengono ripagati con salari vicini a livelli da sussistenza come nel terzo mondo (anche meno di 400 euro). La Polonia, che ha aderito all’euro, è stata “colonizzata” dalle politiche industriali tedesche. Queste politiche dei bassi salari possono essere utili solo nel breve e medio termine. Però la forza di penetrazione tedesca dei mercati esteri è anche legata alle buone istituzioni scolastiche che formano molti tecnici molto bravi, più in linea con le grandi richieste dei nuovi mercati del lavoro più tecnologici.  

Comunque bisogna ricordare “L’assurdità di tale posizione economica… la cosiddetta apertura internazionale di un Paese raramente arriva la 30 per cento; il 70 per cento della produzione è invece costituito non solo da beni e servizi destinati ad uso interno, ma altresì, di tipo tradizionale” e di minor valore aggiunto (Nino Galloni, 2010). Quindi le nazioni e gli imprenditori che decidono di pagare poco i lavoratori “decidono” di ridurre progressivamente i rispettivi mercati nazionali. In effetti per avviare il superamento rapido e indolore della crisi bisognerebbe definire uno “standard retributivo europeo” e garantire una crescita dei salari netti (Brancaccio e Passarella, 2012). Lo stesso Ford diceva che se non paghi abbastanza gli operai, poi è difficile pensare di vendere loro cose prodotte.

Quindi i principali punti deboli economici dell’Italia sono tre: l’alto costo del lavoro per gli imprenditori, la bassa retribuzione dei salari per i lavoratori e le tasse troppo alte per tutti. Purtroppo esistono ancora governanti antiquati e mentalmente limitati che pensano di risolvere i problemi statali attraverso l’aumento delle tasse. L’Italia è fatta e disfatta da classi dirigenti cooptate e assunte senza applicare la meritocrazia: nel settore pubblico e nelle agenzie parastatali “circa il 60 per cento degli assunti tra il 1970 e il 1995 non ha partecipato ad alcun concorso ed è stato assunto per linee partitiche” (in “Forza senza legittimità” di Piero Ignazi, Laterza 2012, tratto da “Lo stato introvabile” di Sabino Cassese, 1998).

A mio parere questo spiega per quale motivo la produttività è stata così bassa in Italia negli ultimi venti anni. Il premio Nobel Paul Krugman ritiene il problema della scarsa produttività poco legato al costo del lavoro e del welfare, poiché in Francia il welfare sociale è molto più forte. Forse per l’Italia vale soprattutto il motto di Kenneth Arrow: “Molta dell’arretratezza economica nel mondo può essere spiegata con la mancanza di fiducia reciproca” (premio Nobel per l’Economia).

Però anche la Francia è in leggera sofferenza e potremmo essere vicini a una delle tante “Crisi dello Stato fiscale” descritta da Joseph Schumpeter, che nel suo conservatorismo e nella sua genialità aveva intuito che il capitalismo era indebolito dai crescenti prelievi fiscali da parte degli Stati. Probabilmente Shumpeter era un ottimo teorico e un bravo professore, ma i suoi investimenti economici e politici si sono quasi sempre rivelati infruttuosi. Le prove lampanti dell’inadeguatezza reale e sociale di certi tecnici sono vecchie quanto la civiltà umana.

E i burocrati che operano nel settore pensionistico e fiscale non sono certamente dei geni. Alcuni pretendono che i giovani precari che vengono pagati pochissimo, riescano pure a pagarsi le pensioni privatamente. Altri pensano di sfamare la mastodontica burocrazia di Stato perdendo il loro tempo andando a pesca di pesci piccoli. Per fortuna ogni tanto qualcuno che ragiona riesce a parlare. Ad esempio il generale della Guardia di Finanza Bruno Buratti disse che in un caso fu sequestrata “una fattura falsa che riportava come imponibile un miliardo di euro e Iva per 200 milioni: un danno per lo Stato di oltre 500 milioni” (da www.byoblu.com di Claudio Messora). Sarebbe “come se, per due mesi, nessun bar d’Italia rilasciasse lo scontrino fiscale per i 70 milioni di cappuccini o caffè bevuti ogni giorno” (Buratti).

In ogni caso il sistema dei prezzi di mercato (e delle aste) risulta quasi sempre pilotato da pochi personaggi troppo influenti, è imperfetto e troppo legato a dinamiche emotive. Per questo motivo esistono le ricorrenti crisi finanziarie. Il premio Nobel Wassily Leontief affermava che nonostante gli errori dell’economia pianificata di Stato, in alcuni casi è preferibile prendere importanti decisione politiche su cosa e come produrre, poiché il braccio armato del mercato può sbagliare mira, lasciandosi sfuggire la preda.

In definitiva l’unica certezza positiva per tutti è questa: l’euro tiene bassi i costi dell’energia. E l’unica cosa certa negativa risiede nella mancanza di sovranità monetaria, che si può ripristinare attraverso una nuova moneta nazionale complementare. Ad esempio si potrebbe creare l’Euro Nazionale soprattutto per finanziare il reddito di cittadinanza. Del resto in quasi tutti i paesi e in quasi tutti i tempi è esistita o esiste una doppia circolazione monetaria, formale o informale.

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