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Espianti - seconda parte

Dopo una prima intervista conoscitiva, entriamo ora nel vivo del libro / romanzo / testimonianza / denuncia.


Il tema portante è velato, sotterraneo fino ad esplodere negli ultimi capitoli.
Riflette un po’, se vogliamo, la realtà del problema affrontato. Un traffico clandestino, nascosto ai più, di cui nessuno parla, di cui si sa alla lontana. Come sei riuscito a raccogliere dati sufficienti per mettere insieme un intero romanzo?

La raccolta dei dati è stata frutto di un lungo lavoro di ricerca durato quasi un anno. Ero alla ricerca di un tema che mettesse insieme la collusione così tipica in Italia tra criminalità organizzata, interessi economici e amministratori politici. E che fosse anche inedito. Ho subito pensato a qualcosa che riguardasse la sanità. Anche le cronache dei quotidiani e dei tg non risparmiano spesso di parlare di quello che dovrebbe essere un territorio incontaminato, e invece finisce spessissimo per essere ricettacolo di ogni sorta di nefandezze. Le mie ricerche mi hanno portato a ridosso del tema del traffico d’organi, di cui in Italia non esiste praticamente nulla. Con molta costanza sono riuscito a entrare in contatto con un magistrato che mi ha parlato a più riprese delle prime indagini nel nostro Paese di una procura sul traffico di organi dai Paesi del Terzo mondo fino ai nostri ospedali. Nel mio romanzo ho voluto ricostruire un caso singolo e verosimile di come un organo possa essere espiantato a un povero innocente e poi trapiantato ad un ricco italiano in un nostro ospedale.

 
L’idea delle Sfingi e dell’Uomo nuovo; anche questa deriva da qualche fatto di coronaca?

L’idea dell’Ultimo Uomo, della setta segreta di suicidi in verità è nata unicamente nella mia testa. Da quando ne ho scritto però molta gente mi ha parlato di sette simili nate in atri Paesi come Usa, Giappone e Scozia e di cui si è parlato.

Le lezioni di filosofia, il professore, l’ambientazione, è tutto così ben descritto nei particolari e sentito da far pensare ad una esperienza diretta. Quanto c’è di tuo, quanto deriva da un interesse indiretto e quanto da qualcosa di veramente vissuto?

Ho sempre nutrito un grande interesse per la filosofia, quando non arriva a diventare costruzione astratta ma illumina l’operare, a tal punto che mi sono laureato in Filosofia a Milano con Carlo Sini e Stefano Zecchi con una tesi su Nietzsche. Il mio intento esplicito era quello di portare la filosofia all’interno della letteratura, di mostrare come una chiave di lettura filosofica possa forse essere di aiuto in casi di mancanze strutturali. Era un esperimento.

Sidney e L’India. Perché?
Gli odori delle città indiane, la realtà sensoriale che deriva dalle descrizioni di alberghi, macchine, terra, è così realistica da catapultare il lettore in un’ambientazione altra dalla quotidianità.
Sei davvero stato in quei luoghi? E se sì per quale motivo? Per il ibro? Per una tua esperienza? E se no, come hai fatto a descriverla in questo modo?


A Sydney ci ho vissuto per un anno, ed è una città che amo e a cui sono affettivamente molto legato perché la mia ragazza è di lì. In India ci sono stato per due mesi, per un lungo viaggio di esplorazione in quella terra complessa, troppo esplicita e misteriosa insieme, in vista della stesura del libro e di un incontro diretto con le matrici dell’induismo e del buddismo, filosofie e religioni che inverano in cammino del razionalismo occidentale e della religione cristiana.

La conoscenza dei tre fiumi, il concetto del terzo invisibile, la leggenda e il mito, tutto si condensa in una storia che ti cattura, che ti avvince, che ti spinge oltre... C’è qualcosa che vuoi si ricordi più di altro? Sono questi i mezzi per essere sicuro che nulla sfugga?

Sì, il terzo fiume e il mito reale del fiume invisibile indiano, lo Saraswati, che si congiunge con il Gange e lo Yamuna ad Allahabad, nel punto che descrivo nel romanzo, è per me la concretizzazione della terza via, intesa come il percorso che dobbiamo cominciare a intraprendere nel mondo occidentale per uscire dal dualismo tra il materialismo (culto del denaro e dell’accumulazione incarnati dal capitalismo e quindi, più o meno, da tutti, come culto per la fama, la popolarità, gli oggetti materiali, il consumismo, l’hi-tech ecc.) e lo spiritualismo (per la verità sempre più morente, in fin di vita perché mortificante, privato dell’energia vitale da cui è nato). La terza via è anche e soprattutto assunzione della responsabilità personale di cui ognuno di noi secondo me dovrebbe farsi carico in un Paese così colmo di corruzione come l’Italia. E’ la responsabilità della legalità e della denuncia dell’illegale.

Il personaggio di Claire, così ben delineato, così umanamente più reale, se posso, di Lene, ha qualche riscontro nella realtà?

No, il personaggio di Claire è totalmente frutto della mia immaginazione. Quello di Lene, invece, è ispirato a una persona che conosco e che per me è molto importante.

Vuoi aggiungere qualcosa di tuo, una sorta di messaggio nascosto, qualcosa che ancora vuoi far arrivare a chi sta per immergersi nelle atmosfere uniche del tuo romanzo?

Se di messaggio per un romanzo si può parlare, e non credo, io parlerei di "sveglia" per noi giovani generazioni che, attraverso un culto per la legalità, abbiamo il dovere di cambiare il nostro Paese e ripulirlo dalla corruzione e illegalità diffuse.
Continuare a parlare e denunciare può già essere un modo.

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