Esclusiva. Caso Donatoni: ecco le voci della notte di Riofreddo
Settembre 1997. Giuseppe Soffiantini, imprenditore tessile bresciano, è nelle mani di un gruppo di banditi sardi da tre mesi, in tre lo hanno rapito nella sua villa di Manerbio il 17 giugno.
(di Fabrizio Colarieti)
I suoi figli lanciano un primo appello ai sequestratori, sono disponibili a pagare il riscatto e loro dettano le condizioni. Gli inquirenti decidono di effettuare un pagamento simulato e l’appuntamento è fissato per le ore 23 del 25 settembre in provincia di Savona.
L’emissario, seguendo le indicazioni dei sequestratori, deve raggiungere il punto convenuto a bordo di un fuoristrada e, una volta nei pressi di Mortara (PV), attendere un segnale luminoso e poi un altro. La delicata operazione è affidata al Nucleo operativo centrale di sicurezza, il Nocs della polizia di Stato.
L’emissario è uno di loro, il capo: Claudio Clemente. Il fuoristrada raggiunge la piazzola di sosta. Clemente e i suoi uomini sono pronti a consegnare la borsa e a far scattare la cattura. Il primo segnale arriva, il secondo no, l’operazione fallisce. Il 7 ottobre è lo stesso Soffiantini, in una drammatica lettera, a chiedere ai suoi familiari di pagare i 20 miliardi del riscatto: "Fate tutto il possibile e l’impossibile per pagare, diversamente non ci vedremo mai più".
I rapitori tornano a farsi vivi. Il nuovo appuntamento è fissato per il 17 ottobre lungo la statale Tiburtina, all’altezza del bivio di Riofreddo, ai confini tra il Lazio e l’Abruzzo. Le modalità sono le stesse: l’emissario deve raggiungere il luogo stabilito, attendere un segnale luminoso, fermarsi in una piazzola e depositare le due borse contenenti il denaro. A condurre l’operazione è ancora il Nocs, l’emissario è di nuovo Clemente.
Riofreddo - Alle 21 il capo dei Nocs e una decina di suoi uomini sono quasi all’appuntamento. Clemente è a bordo di una Golf bianca, alla guida c’è un altro agente e altri due sono nascosti sul retro della vettura. L’intera operazione è registrata via radio e nella sala operativa della questura di Avezzano i vertici della Criminalpol seguono la consegna in diretta, tra loro c’è anche Nicola Calipari, il funzionario di polizia che sarà ucciso nel 2005 a Baghdad durante la liberazione della giornalista Giuliana Sgrena.
I Nocs stanno per raggiungere Riofreddo. Intorno alle 21.30, seguendo le indicazioni dei sequestratori, la Golf si ferma in una piazzola e riconosce il segnale luminoso. Clemente, “Volpe 1”, individua a terra un nastro bicolore e un pezzo di carta. Ecco l’audio originale, mai reso noto prima, dall’avvicinamento dei Nocs a Riofreddo alla lettura di quel messaggio.
Il segnale luminoso c’è stato, i banditi sono a poche decine di metri, lampeggiano con i fari e le loro indicazioni sono chiare. Clemente ordina ai suoi uomini di avvicinarsi lentamente. Il momento è delicato. L’adrenalina è al massimo.
Poggiate le due borse, che contengono una mini carica esplosiva, tre agenti del Nocs - Samuele Donatoni, Stefano Miscali e Claudio Sorrentino - (equipaggio Volpe 6), i migliori che il reparto speciale della polizia abbia in servizio, devono intervenire e catturare chi andrà a prendere il riscatto.
Clemente scende di nuovo dall’auto, raccoglie il pezzo di carta, legge il messaggio con le indicazioni dei rapitori e si prepara a depositare le borse. L’operazione non è rapidissima e i malviventi, nel frattempo, continuano a lampeggiare con i fari. Clemente scende e poggia le borse al termine del nastro. Risale in auto, ordina a “Volpe 6” e “Volpe 7” di avvicinarsi il più possibile risalendo la scarpata fin sotto il guard-rail. Ecco di nuovo l’inedito delle loro voci:
I tre agenti dell’equipaggio “Volpe 6” comunicano che sono in posizione, atri si stanno avvicinando risalendo la ferrovia che costeggia la statale, altri ancora osservano a distanza. Clemente, prima di allontanarsi con l’auto di alcune centinaia di metri, ordina a Donatoni, Miscali e Sorrentino di intervenire.
A questo punto non resta che attendere: i rapitori devono uscire allo scoperto, raggiungere la piazzola e prendere le borse. Passano diversi minuti, le comunicazioni radio sono frastagliate, le informazioni verso l’auto di Clemente sono disordinate, a volte incomprensibili, e a mancare all’appello è l’equipaggio “Volpe 6”, i tre agenti che devono catturare i banditi, e quello di copertura “Volpe 7”.
E’ il momento del conflitto a fuoco. Gli uomini più vicini a “Volpe 6” sentono i primi colpi, le borse sono ancora lì, poi è l’agente Sorrentino a confermare: "Ci hanno sparato addosso, hanno beccato Samuele perchévnon riusciamo più a trovarlo". L’operazione è fallita. Sorrentino conferma a Clemente che si sono avvicinate due persone e hanno cominciato a sparare e che Samuele Donatoni è stato colpito e non si trova più. Ecco i cinque minuti che raccontano, meglio di qualunque altra testimonianza, il fallimento del blitz e la morte di Donatoni:
Inizia la battuta. Clemente torna indietro e ordina ai suoi uomini di individuare l’ispettore Donatoni, intanto si alza in volo un elicottero e altri Nocs raggiungono il luogo dell’agguato. Dei banditi nessuna traccia. Erano appostati sul tetto di una cappella del cimitero di Riofreddo, altri due erano certamente sul luogo della sparatoria, a confermarlo in radio è ancora Sorrentino: "Si sono avvicinate tre persone e hanno cominciato a sparare".
A terra rimane un fucile d’assalto Ak-47 Kalashnikov, è dei banditi. Nella prima relazione di servizio il capo della Squadra Mobile di Roma, Nicolò D’Angelo, scriverà: "Donatoni Samuele veniva attinto da colpi d’arma da fuoco esplosi a suo indirizzo da taluno dei malfattori con un’arma automatica". Perciò per la polizia a uccidere Donatoni è stato uno dei rapitori, con il Kalashnikov poi abbandonato. Caso chiuso
I colleghi che quella notte erano a Riofreddo accanto all’ispettore Donatoni, ben conoscendo la dinamica dei fatti, secondo Almerighi hanno agito con una “precisa volontà di nascondere la verità”, anche alterando la scena del crimine spostando la posizione di Donatoni rispetto al luogo dello scontro a fuoco.
Nicola Calipari, sentito dalla Corte d’Assise, raccontò, infatti, che i Nocs gli riferirono che la sparatoria era avvenuta nella zona del “ponticello”, cioè dove furono trovate le macchie di sangue, e non nell’area a ridosso della statale dove ci fu lo scontro a fuoco tra Moro e Sorrentino. Si dimostrerà poi che Donatoni fu colpito proprio in quella zona.
Oggi questa brutta storia torna a galla e qualcuno - secondo il gip Massimo Battistini che lo scorso 7 dicembre ha disposto nuove indagini sul conto di cinque Nocs (Claudio Clemente, Stefano Miscali, Claudio Sorrentino, Vittorio Filipponi e Nello Simone) e due agenti della Scientifica (Alfonso D'Alfonso e Paola Montagna) - dovrà dare una risposta ai familiari dell’ispettore Samuele Donatoni e ai loro legali, Giulia Dragoni e Armando Macrillò, che da quella notte di quattordici anni fa attendono la verità.
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