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Elezioni in Sicilia: la corsa al 28 ottobre

Non è cambiata per niente la politica in Italia e in Sicilia, durante e dopo l’era berlusconiana. Anzi, è peggiorata e la recessione non c’entra niente. C’entrano le facce impresentabili, le facce di bronzo che senza pudore alcuno tornano alla ribalta, pronte a precipitare sempre più in basso, fino al degrado dei porci grassi, nei loro porcili.

E perché, poi, mi chiedo, la politica diventa sempre più, da una elezione all’altra, come una cappa di piombo, un’aria malsana da metropoli inquinata? Lo senti nel clima che si respira, nelle stantie esibizioni televisive con quei venti o trenta individui che hanno fatto comunella, e tutto ci ammanniscono pensando di piacere al popolo italiano. Politici, intrattenitori, intellettuali sofisticati o da strapazzo. Gigantografie del nulla, paradossi della presunzione. Taroccate manifestazioni di potere personale e di partito. Invitano e ammiccano da incoscienti che tornano a promettere, a disturbarti, ad avere l’arroganza e l’ardire di chiedere. Di comparire. Comparse e maschere di se stessi. Una politica ridotta a buco nero che divora, senza distinzioni di appartenenza, senza più destra o sinistra, ma solo maiali che grugniscono. Ci vorrebbe un vaffanculo day del ciarpame politico, anche se nessuno sente di esserne rappresentante, in questo autunno che prepara il 28 ottobre siciliano, giorno nefando che ci ricorda l’attacco dell’Italia fascista alla Grecia, nel 1940, e, peggio ancora, la dichiarazione di guerra del Duce alle “plutocrazie” dell’Occidente, qualche mese prima.

Queste sono elezioni smemorate. Te lo dicono le facce dei candidati a governatori e a deputati di un parlamento nostrano, per tradizione sovraccarico di inquisiti e potenti baroni, quelli che un tempo cacciavano via, lungo il cassaro, anche i viceré, se non dimostravano accondiscendenza verso le loro richieste. O li uccidevano se erano in qualche modo riformatori, come nel caso di Caramanico. La storia non è cambiata. Nonostante i buoni propositi di un sindaco come Leoluca Orlando che ha preferito rimanere sindaco di una città difficile come Palermo piuttosto che candidarsi a governatore. Per il resto abbiamo a che fare con faccendieri, bottegai del voto, gabelloti di feudi elettorali, costruttori di sudditanze.

Poi ci sono i Masaniello. Vanno alla conquista di una intera regione. Forse farebbero affari con le loro reti di web internet, blog e socialnetwork vari, comandati da un paio di persone. Si chiamino Enrico Sassoon o Gianroberto Casaleggio, o, sia pure, Beppe Grillo, intestatario di un blog tra i più cliccati e ricchi al mondo. Ma la gran massa delle persone la protesta ce l’ha sulla pelle, nel sistema nervoso e fa i conti per vivere o sopravvivere. Gli operai licenziati di Termini Imerese o dell’Ilva, dell’Alcoa, delle miniere del Sulcis, i cassintegrati, i nuovi disoccupati, gli esodati e le vittime della devastazione dell’articolo 18, i pensionati, non sono certo contenti delle signorie di questi nuovi padroni che cavalcano la protesta e fanno politica senza nessuna proposta, ma semplicemente urlando. Bella analogia tra il grillismo e il berlusconismo. Entrambi usano la comunicazione per creare opinione, derivandola più dalla costrizione mentale, dall’induzione imbonitrice, da buoni piazzisti, che dall’interesse altrui, dal bisogno pubblico, da un reale progetto di cambiamento. Da una reale politica.

E’ un livello di raffinatezza che parla a un ceto medio e popolare, e che ha a sua disposizione rete, case editrici e uffici all’avanguardia come quelli della Casaleggio Associati nel cuore di Milano capitale della moda. Un mondo pseudopolitico che misura e calcola, acquista e vende, ricicla e unisce, mette insieme e cresce, come un cervello, su se stesso. Un mostro. Un mostro fatto di visibilità e denaro, binomio inscindibile dell’apparire al posto dell’essere, del virtuale e di internet al posto del piccolo senza potere alcuno. In definitiva è la vecchia politica del capitalismo dal volto disumano che ha la stessa filosofia operativa di Sergio Marchionne.

Abbiamo visto con la primavera araba cosa ha prodotto l’uso senza discernimento e impulsivo di internet. Basta soffiare sul fuoco e la Sicilia non è al di sotto di questo mondo. Nel 1994 Berlusconi vinse le elezioni politiche con il tam tam delle riunioni sotterranee, di caseggiati e di quartiere. Non con i comizi. Oggi la situazione è diversa e peggiore. Né tanto meno è refrattaria al ciarpame della vecchia politica fatta passare per modernizzazione. Senza crescita e senza innovazione. Ma dopo l’alleanza del Pd con il peggiore dei governi possibili, quello di Lombardo, c’è da aspettarsi il peggio, passati i distinguo e lo spauracchio elettorale. Il voto virtuale. Ormai conosciamo i candidati attraverso Facebook e Twitter, i canali televisivi e gli slogan pubblicitari. Niente programmi e niente idee.

Un gradino al di sotto del grillismo c’è la contestazione pura, di quelli che vogliono cambiare tutto per non cambiare nulla, che un tempo erano servi e ora vogliono essere padroni, a modo loro adeguati ai tempi: forconi tridentati, politicanti trinariciuti di tutti i partiti, trinacriati, pronti a difendere una Sicilia tutta insulare. Ma qui, al regno generazionale di Luciano Liggio è subentrato quello di Totò Riina, e a quello di quest’ultimo, quell’altro di Bernardo Provenzano, fino ad arrivare alla beata latitanza senza fine di Matteo Messina Denaro. Checché ne dica il capo della polizia Manganelli che nella capitale di questo regno, Castelvetrano, solo oggi inaugura un Commissariato di Ps come simbolo e luogo reale della nuova lotta alla mafia. Bah. Staremo a vedere.

Intanto la sinistra non riesce a raccordare le sue frammentazioni, quando su una base comune dovrebbe optare per una elementare politica contro quell’area che il governo Monti ha voluto privilegiare. Quella dei banchieri, della finanza e delle grandi corporazioni: dalle assicurazioni, alle imprese dei grandi manager che ­– come ha detto Nichi Vendola sulle pagine de “La Repubblica” del 30 settembre 2012 – “si aumentano i benefit milionari nel pieno del tracollo economico”. E ipotizzano il peggio pensando a un Monti bis, come se gli italiani non avessero più neanche il diritto di parola. Il pericolo più grosso è che le prossime elezioni siciliane non segnino nessuna rottura o discontinuità con il passato, ma perfezionino il sistema parassitario del dominio, affidando alle solite più o meno note eminenze grigie dell’isola, il potere di decidere.

Eppure queste elezioni saranno il segnale di ciò che accadrà in Italia a primavera, e non è difficile immaginare una lezione pesante per tutti. Una svolta è possibile se il popolo siciliano, nobile e deciso nei momenti cruciali della storia italiana, sarà in grado di creare veramente la premessa perché tutto il nostro Paese non vada alla deriva. Con una svolta a sinistra che sia chiara e serva da monito.

Non credo che la Sicilia possa sopportare a lungo una così grave situazione degenerativa. Sarebbe il tracollo definitivo della sua storia. Ecco perché ritengo che questa svolta possa rappresentare un reale punto di partenza.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.141) 5 ottobre 2012 11:32

    Mah...!!! Giuseppe Casarrubea, ricercatore storico e complottista convinto, a quanto pare!!! E’ probabile che lo spauracchio spionistico abbia inciso molto di più della voglia di ribellarsi a questo sistema politico del potere e del controllo!!! Dietro una facciata, comunque, di protesta contro tutto e tutti, senza rispetto neanche per chi è veramente stanco (come quelli che da schiavi vogliono diventar padroni), e compreso quel Grillo che appare come il Satana mandato dal cielo per sentenziare sulla vita degli uomini! Non bastano le dichiarazioni chiarificatrici di Sassoon e Casaleggio a placare la rabbia, in quest’articolo, di un uomo che non si fida neanche più della sua ombra!!! Chi ne esce benino, forse, è solo Nichi Vendola. Probabilmente, il politico a cui Casarrubea donerà il suo consenso!!!
    Roberto Colucci

  • Di (---.---.---.52) 5 ottobre 2012 12:21

    Caro Colucci, lei tira delle conclusioni troppo in fretta, mi pare. Non sono stato mai complottista e la mia citazione di Vendola è rivolta a tutt’altra ragione che quella di indicarlo tra le mie preferenze di voto.

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