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Elezioni amministrative… o test politico nazionale?

Un’analisi della situazione prima del voto a Milano, Torino, Bologna e Napoli: non tutto è scontatissimo.
 
Il 15 e 16 maggio si recheranno alle urne 1.344 comuni, tra i quali 31 capoluoghi di provincia. I principali comuni che andranno al voto sono Torino, Milano, Bologna e Napoli. È principalmente su queste quattro città – simbolo del Bel Paese, seppure in maniera diversa tra loro – che si accenderanno i riflettori. Proprio attraverso l’analisi della campagna elettorale che si sta svolgendo in queste città, proveremo a comprendere se all’indomani delle elezioni amministrative potrebbe essere messo in discussione l’intero – fragile – equilibrio politico nazionale.
 
Una premessa è d’obbligo. Una nazione con un elevato livello di maturità della propria democrazia nemmeno ipotizzerebbe che il proprio esecutivo possa essere messo in discussione da un “voto intermedio”, per giunta locale. Questo paradigma per l’Italia non vale ed è ancora poco chiaro se tale “invalidità” sia dovuta a un’immaturità del sistema democratico dello stivale o se gli attori protagonisti della politica e più in generale delle istituzioni abbiano mandato in corto circuito il sistema stesso.
 

Il caso Lassini e i rischi per lady Moratti – Se le elezioni amministrative avrebbero potuto rappresentare un buon momento per ritornare ad affrontare le questioni reali del Paese, ossia le difficoltà in cui s’imbattono i cittadini giorno per giorno, ci ha pensato Roberto Lassini, candidato nelle liste del Popolo della libertà al Consiglio comunale di Milano, a riportare la Politica che conta al centro del dibattito con il manifesto “Via le Br dalle Procure”. Manifesti che il candidato sindaco dello stesso Pdl, Letizia Moratti, non ha perso tempo a rispedire al mittente, con un sms rivolto allo stato maggiore del Partito: «O lui o me». La voce dell’establishment pidiellino non si è fatta attendere; attraverso un coro quasi unanime sono state prese le distanze dall’ex sindaco di Turbigo, al quale venivano chieste le dimissioni. Sul caso l’unico a non aver preso posizioni è il capolista Pdl alle prossime elezioni, proprio Silvio Berlusconi. D’altro canto come non comprenderlo, il cavaliere? Dopo aver fatto per anni dell’attacco alle toghe rosse uno dei suoi principali cavalli di battaglia, poteva smentire il suo più fedele discepolo milanese? È forse la presenza delle “toghe rosse” il principale motivo della discesa in campo del premier nella città della moda? C’è da aggiungere che, senza la garanzia del leader del Pdl, probabilmente il centrodestra milanese sarebbe spaccato in due come una mela. Ad oggi, la presenza di un candidato sindaco del terzo polo, l’ex presidente del Consiglio comunale Palmeri, sembra non garantire l’elezione di lady Letizia al primo turno, anche se il vendoliano Pisapia, candidato sindaco del centrosinistra, risulta attualmente troppo distante dalla rivale del centrodestra. Ma, se ballottaggio sarà, nothing is impossibile.

Le sicurezze di Fassino – Sempre al Nord, questa volta a Torino, sembra in discesa la corsa alla poltrona di primo cittadino per il candidato sindaco del centrosinistra, Piero Fassino. L’eredità Chiamparino e la notorietà dell’ex segretario dei Ds sembra garantire alla coalizione guidata dall’esponente democratico una vittoria possibile già al primo turno, anche se la presenza di tredici candidati sindaci mette in discussione questo traguardo. L’abissale vantaggio dell’ex leader della Quercia sul candidato del centrodestra Michele Coppola la si deve in parte anche alla presenza di un rilevante terzo polo guidato dall’esponente della società civile Alberto Musy, quarantenne, docente di Diritto privato comparato, la cui candidatura è stata presentata dai leader della nuova alleanza centrista come un “importante campo di prova” per il percorso guidato da Fini, Casini e Rutelli. Se la città del Lingotto dovesse andare al ballottaggio, i voti centristi non saranno certamente affidati alla coscienza dei singoli.

Merola contro tutti gli altri, amorevolmente divisi – Anche a Bologna, nonostante le vicende legate al caso Delbono, il candidato del centrosinistra, Virginio Merola, sembra essere in vantaggio, con buone probabilità di vittoria al primo turno, complice sicuramente la presenza di un centrodestra fortemente frammentato, che, consegnando al candidato leghista Manes Bernardini la propria leadership, ha di fatto assicurato la presenza per la corsa alla carica di primo cittadino a Daniele Corticelli e Stefano Aldrovandi, candidati sì civici, ma certamente di area; democristiano new style il primo, terzopolista camuffato il secondo. A proposito di Aldrovandi, una domanda sorge spontanea: come mai proprio nella loro città Fini e Casini hanno rinunciato a un candidato sindaco chiaramente terzopolista? Tentativo quasi certamente malriuscito di ripetere l’operazione Guazzaloca, paura di un clamoroso flop o volontà di tenere aperte le porte a un possibile laboratorio? Che la rossa Bologna sia stata un laboratorio politico di respiro nazionale, in particolar modo nella seconda repubblica, non v’è dubbio. Lo sarà anche in questa tornata elettorale? Forse. Sicuramente nel centrosinistra qualcuno ci sta provando. Il fatto che Sinistra ecologia e libertà rinunci al proprio simbolo creandone uno ad arte per mettere il nome della prodiana Frascaroli deriva solo dall’intento di riprendere i voti che lady Caritas ha ottenuto alle primarie o è l’esperimento di un asse Vendola-Prodi? E, ancora: se il Partito socialista italiano non presenta il proprio simbolo in nome di una lista civica (rosa per Bologna – Laici socialisti riformisti), che più o meno dichiaratamente si richiama alla Rosa nel Pugno, sarà per catturare qualche voto radicale in libera uscita o per segnare la necessità politica di riaggregare l’area laica?

A chi Napoli?Dulcis in fundo, Napoli. Nella città partenopea, il centrodestra guidato dall’imprenditore Gianni Lettieri sembra essere in vantaggio, seppur molto distante dalla possibilità di elezione al primo turno. Verosimilmente lo sfidante al ballottaggio sarà il candidato del centrosinistra Mario Morcone, sostenuto da Pd, Sel, Psi e Verdi. Tra gli altri otto candidati sindaci spiccano i nomi del rettore dell’Università di Salerno Raimondo Pasquino, appoggiato dal terzo Polo, dell’ex guardasigilli Clemente Mastella, presentato dalla lista Popolari per il Sud, e dell’esponente dell’Italia dei valori Luigi De Magistris, supportato dal suo partito, dalla Federazione della sinistra e dalla civica Napoli è tua. Sicuramente saranno questi tre candidati gli aghi della bilancia di un ballottaggio nel quale nulla è scontato.



Frammentazione, astensionismo, referendum – Una considerazione conclusiva può fornire un valore aggiunto alle valutazioni sin qui svolte. Il tratto omogeneo che ha caratterizzato la presentazione delle liste è stata la forte frammentazione, con specificità certamente locali, ma che potrebbe essere ricondotta entro una cornice più ampia di cui sicuramente fanno parte la diminuzione del numero di consiglieri e assessori e la necessità di porre il freno a un forte e preannunciato astensionismo. Infine non sarà irrilevante il ruolo che avranno i cosiddetti outsider, come ad esempio i candidati del Movimento cinque stelle di Beppe Grillo, e l’incombere dei quesiti referendari nell’agenda politica sul finire della campagna elettorale. A urne chiuse il dato dell’astensione farà il resto.

L’immagine: Le Serment du Jeu de paume (1790-91, olio su tela, Parigi, Museo Carnavalet) di Jacques-Louis David (1748–1825).

Giuseppe Potenza

(LucidaMente, anno VI, n. 65, maggio 2011)
 

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