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Egitto, tortura senza tempo

*L'articolo contiene immagini che potrebbero urtare la vostra sensibilità

Ventotto anni come Khaled Said, la più famosa vittima del sadismo poliziesco mubarakiano, il cui caso fece salire all’apice l’insopportabilità del regime fra i giovani egiziani. Le ventotto primavere di Mohamed El-Gendy (nella foto) si sono fermate al secondo anniversario della Primavera tradita che riportava ragazzi come lui di nuovo in strada. E non per festeggiare. Fermato, poi arrestato più d’un mese fa Mohamed è finito in ospedale dov’è rimasto otto giorni, quindi la morte se l’è portato via. A ridurlo in una totale incoscienza pare siano state due o dieci guardie più o meno bigotte. Certo l’anima gliel’hanno cacciata come taluni sbirri sanno fare. Da secoli. Di El-Gendy s’è iniziato a parlare dopo che da tre settimane i familiari chiedevano e richiedevano ai magistrati un’indagine, e soprattutto perché la domanda è sostenuta dalla Corrente Popolare di Sabbahi, il maggior partito dell’opposizione presente nel Fronte di Salvezza Nazionale di cui la vittima era un attivista.

 

Come Khaled

Il supporto forse convincerà qualche pubblico ministero a far luce sulle reali responsabilità di questa scomparsa avvenuta, secondo quanto dichiarano due ministeri che contano: Interni e Giustizia, per un incidente automobilistico. La versione appare più paradossale della causa di morte attribuita dalla polizia a Khaked Said, sospettato di uso di hashish e per questo fermato e pestato dagli agenti dentro e fuori un internet-caffè di Alessandria. I picchiatori scrissero che il giovane era morto soffocato da una bustina di cellophane contenente ‘erba’ che cercava d’ingerire. Proprio così. Le foto del volto sfigurato di Khaled, scattate dal fratello recatosi in obitorio per riconoscere la salma, fecero il giro del web portando a mille la rabbia contro la violenza del regime. Del cadavere di El-Gendy non è stata pubblicata alcuna immagine ma da giorni la stampa egiziana non tace più sul caso suo e sui manifestanti fermati nel corso degli scontri d’un mese fa. I tumulti che hanno rivisto almeno una dozzina di cittadini uccisi con armi da fuoco e decine di persone inghiottite in luoghi di detenzione ufficiali e ufficiosi. Da dove Mohamed è uscito cadavere.

Abu Ghraib d’Egitto

Ora i media locali danno voce ai documenti di strutture anti-repressive. Una raccolta di testimonianze sull’operato delle Forze dell’Ordine, mutate ai vertici non nella sostanza dopo la salita di Mursi alla presidenza della Repubblica. La psichiatra Seif El-Dawla, responsabile del Centro di riabilitazione delle vittime della violenza al Cairo, dopo un trimestre di relativa calma estiva ha iniziato a ricevere dai propri operatori notizie di nuovi casi che s’aggiungevano a quelli dell’era Mubarak e della Giunta Tantawi. La sua voce allarmata parla di torture, le stesse del passato coi medesimi aguzzini e in luoghi tristemente noti. Tutto rimasto uguale nonostante le speranze d’un cambio di passo e d’intenti proclamato dalla politica. Dà angoscia aver saputo tramite gli avvocati degli attuali detenuti della presenza di scenari che imitano Abu Ghraib con atti di umiliazione dei prigionieri tenuti al guinzaglio e fatti latrare come cani da agenti che li insultano e ridono. Recenti denunce erano passate anche attraverso Amnesty International.

Botte e shock elettrici

Oltre alla tristezza per i crimini contro la dignità umana, la psichiatra fa notare che se c’è continuità con quella logica repressiva che aveva visto il Mukhabarat subalterno alle operazioni di Rendition della Cia, la novità sta nel nascondere molto meno d’un tempo simili metodi. L’attivista per i diritti Nazli Hussein aderente alla campagna “No ai tribunali militari per i civili” ha raccolto le informazioni di oltre quattrocento manifestanti ammassati nei Csf, i Campi delle Forze di Sicurezza, strutture di detenzione illegali sulle quali il governo chiude entrambi gli occhi. Chi c’è passato racconta che dalle bastonature “semplici” s’arriva a quelle crudeli che insistono su ferite aperte. Oppure si ricevono shock elettrici su pavimenti cosparsi d’acqua e cavi. Del resto il cadavere di El-Gendy - che ripetiamo secondo due ministeri sarebbe morto in un incidente d’auto - presentava ustioni elettriche sulla lingua, bruciature da ferro rovente sulla schiena, segni di costrizione da fune attorno al collo. Lo afferma il referto medico mostrato dai familiari.

Strapotere della lobby militare

La vicenda sta creando non poco imbarazzo ai già molto contestati Esecutivo e Presidenza islamici, il portavoce di Mursi dichiara che il Capo di Stato s’interesserà personalmente della vicenda. E un’altra figura di spicco della Fratellanza, Essam El-Erian, punta l’indice sui poliziotti torturatori che “contravvengono alla legge e alla Costituzione”. Ma gli uomini pubblici della Confraternita per il ruolo ricoperto risultano corresponsabili di vicende che si ripetono, avendo attuato col pensionamento di Tantawi e dei vecchi generali solo un semplice maquillage della Sicurezza. Di fatto ne subiscono lo strapotere e gli abusi, sebbene quest’ultimi sono rivolti come sempre alla cittadinanza e in questi mesi di scontro aperto agli avversari politici del fronte laico. Donne e uomini d’umanità e coscienza, che per fortuna in Egitto non mancano e in tanti lavorano fuori dagli apparati politici, sostengono che l’attuale governo e il blocco del potere islamico stiano subendo scelte non totalmente proprie mentre opportunisticamente avallano la repressione per salvaguardare l’attuale potere. Ci dicono sconsolatamente: “Mursi non vuole cambiare il ministro dell’Interno che lo protegge e accetta simili comportamenti. Modificarli sembra per ora impossibile”. 

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