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Egitto: “Neofascismo, islamofobia e classismo avvelenano la vita del Paese”

Un’altra voce critica sugli avvenimenti che stanno caratterizzando le ultime settimane del defatigante scontro politico nel grande Paese arabo. Intervista a Mohamed El-Menshawy

 

A metà fra denuncia e grido di dolore alcuni intellettuali egiziani evidenziano l’esplicito pericolo che il Paese corre dopo la destituzione del presidente Mursi per iniziative orchestrate da forze reazionarie. Un complotto? Probabilmente sì, sebbene manchino le prove tangibili.

 Di certo l’offensiva che trova ampia sponda nelle Forze Armate e nel movimento d’opinione laico gestito da Tamarod e Fronte di Salvezza Nazionale è stata ben condotta dalle componenti del mai tramontato "Egitto dei raìs" che tante porte aveva aperto al colonialismo di ritorno nei suoi risvolti più beceri e servili. Lo sostiene l’intellettuale Mohamed El-Menshawy, conoscitore degli inquietanti risvolti dell’occidentalismo più retrivo avendo studiato e lavorato negli Stati Uniti. Sicuramente i filo yankee l’accuseranno di antiamericanismo ma El-Menshawy non si esenta dalla cruda analisi sulla triade criminale (neofascismo, islamofobìa, classismo) che avvelena la vita del Paese. 

Fascismo rampante

“C’è un fascismo rampante (l’autore utilizza questo preciso riferimento ideologico, ndr) che inficia il processo democratico presente nella ribellione di piazza e nel voto liberato dalla pressione delle lobbies. I due momenti sono stati i pilastri partecipativi della Rivoluzione del 25 gennaio contro la gestione personalistica e tirannica del potere”. Questo fascismo, come altri, non ama il popolo: lo usa, però non cerca una sua emancipazione, al più lo lusinga con uscite populistiche che comunque discriminano le classi più povere. El-Menshawy prosegue sottolineando l’esistenza d’un razzismo neppure tanto velato nei pronunciamenti con cui un certa leadership sostiene come le libere elezioni del 2011 e 2012 siano stati inaffidabili pronunciamenti d’una massa incolta e analfabeta. Dietro quest’attacco al principio base della democrazia si cela l’idea esclusivista che soltanto un’élite, la propria, può essere capace di decidere le sorti dell’Egitto e dirigerlo. “Costoro non vogliono occuparsi dei diritti individuali, di eguaglianza sociale, sono abituati alla compera del voto e ai brogli, ampliano la corruzione negli apparati statali praticando con simili manipolazioni gli interessi del ceto benestante cui appartengono”.

 

Islamofobìa

A detta di El-Menshawy il neofascismo si sarebbe avvantaggiato delle sentenze assolutorie dei giudici verso i responsabili (non solo militari) di crimini e malversazioni degli anni passati, usando a proprio favore il montante clima di contestazione alla presidenza Mursi. Tamarod e liberali hanno prestato il fianco all’iniziativa, abbagliati dal forte sentimento antislamico. L’islamofobìa è il secondo elemento esaminato, un insieme di paura e odio in aperto controsenso in un Paese al 90% musulmano. Il discorso si sposta sull’imprinting dei recenti toni da crociata non diversi da quelli vissuti negli Usa dopo l’11 settembre. La propaganda sembra orchestrata da retrivi occidentalisti più che da posati liberali visto che mira alla demonizzazione degli islamici, definiti "pericolosi per la vita dell’Egitto". Gli islamici tout-court non combattenti jihadisti, e dunque anche le famiglie presenti da cinque settimane ai sit-in di protesta a Nasr City. L’offensiva ideologica invade il terreno dei costumi identitari e dei simboli quando s’additano barbe e nijab chiedendone la sparizione.

 

Classismo sprezzante

Ma ciò che preoccupa ulteriormente El-Menshawy è la terza lancia della triade reazionaria: il classismo, con cui l’élite che si propone come attuale classe dirigente, e che forma i suoi rampolli nelle scuole private statunitensi, britanniche e francesi, teorizza la propria superiorità sul restante establishment. Teorizza Egitti separati e organizzazioni sociali differenziate nei servizi (trasporti, sanità, scuola) e nella vita. “Non era mai accaduto neppure nei non brillanti decenni che furono. Non era questo che chiedeva la Rivoluzione del 25 gennaio che, al contrario voleva cambiare le dinamiche fra governanti e governati”. Ma la classe dei feloul legata al regime di Mubarak resta immune ai venti della trasformazione. I fatti del 30 giugno mostrano che essa rimane, mentre il grande assente pare essere proprio il cambiamento. 

 

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