Edifici pubblici senza crocifisso? Si può fare

Sono passati due anni dalla sentenza con cui la Grande Camera della Corte di Strasburgo, rovesciando il verdetto di primo grado, respinse il ricorso della socia Uaar Soile Lautsi sostenendo che l’imposizione del crocifisso nelle aule scolastiche non violasse la Convenzione europea. Quella sentenza politica della Cedu arrivò dopo una pressione internazionale senza precedenti dei paesi più retrivi, tra cui l’Italia. E ben lungi dal sancire l’obbligo di affissione come viene talvolta sostenuto da chi è particolarmente interessato nell’inchiodarlo ai muri (o impreparato), attribuì al crocifisso una mera funzione di suppellettile “passiva”. Di fatto svilendolo e ritenendo che non avesse alcuna influenza né caratterizzazione religiosa. Resta dunque sempre possibile evitare di contrassegnare in senso confessionale gli edifici pubblici. Una facoltà che, ogni tanto, qualcuno traduce anche in pratica.
Come accaduto all’università di Firenze, dove a seguito dei lavori di manutenzione è stato rimosso il crocifisso affisso nell’aula magna del rettorato in piazza San Marco. Finito il rifacimento, su decisione del rettore Alberto Tesi non è stato ricollocato. La questione non è stata affrontata dal Senato o dal Consiglio di amministrazione dell’ateneo: proprio il rettore ha spiegato molto semplicemente di aver “ritenuto opportuno che l’aula magna, sempre luogo d’incontro e di confronto, non preveda la presenza di simboli confessionali”.
“Simbolo millenario della nostra storia e della nostra civiltà”
Nell’aula magna di Firenze pare che il crocifisso fosse stato presente da pochi decenni e non si sa bene chi l’abbia messo. Già nel 1994 il consiglio di Facoltà di Architettura approvò all’unanimità la rimozione del crocifisso in un bar dentro la sede di Santa Verdiana, dopo la richiesta degli studenti dei collettivi, perché “discriminante per altre confessioni religiose”. E venne rimosso senza grossi scandali.
Critico Franco Scaramuzzi, professore emerito di Agraria, ex rettore dell’ateneo fiorentino e ora presidente dell’Accademia dei Georgofili. Secondo lui era meglio non procedere con la rimozione del crocifisso, perché “bisognerebbe evitare di attivare contrapposizioni” e perché “indipendentemente da ogni fede o ideologia”, si tratterebbe di un “simbolo millenario della nostra storia e della nostra civiltà”.
Nonostante la retorica e i toni tragici di alcuni, è proprio voler imporre a tutti i costi il crocifisso che fomenta divisioni, specie con l’attivismo dei clericali che negli ultimi anni si sono fatti sempre più baldanzosi nell’imporre questo e altro in nome dei “valori”. L’appello alla tradizione - impreciso e senza indagare sulle modalità e sulla logica discutibili con cui questa veniva imposta - non può comunque essere usato come giustificazione nel presente di pratiche e comportamenti ormai sempre meno in linea con il sentire comune. Comportamenti tradizionali che magari vengono contestati ad altre confessioni, come l’islam, perché giudicati poco laici e contro i diritti di tutti.
È evidente che in una società sempre più secolarizzata, e dove il cristianesimo non è più religione di Stato, il simbolo in questione non rappresenta tutti: a voler essere pignoli neppure tutti i cristiani, ma solo i cattolici e, anzi, solo quelli che lo pretendono. Quindi non ha senso imporlo in una struttura pubblica che dovrebbe essere laica e di tutti e dare preferenze a particolari confessioni. Se non cominciamo da questo semplice buonsenso laico, che prescinde dall’essere credenti o meno, come possiamo pretendere atteggiamenti laici dalle altre comunità religiose? E come possiamo arginare seriamente le richieste di privilegi da parte di altre fedi, o lamentarci dell’integralismo altrui, se non cominciamo da casa nostra?
Anche in precedenza lo stesso rettore avevamo dimostrato una sensibilità laica non scontata. Nel 2010, l’università aveva inviato agli studenti l’invio alla messa per l’inaugurazione dell’anno accademico. Il nostro circolo di Firenze aveva chiesto chiarimenti sulle modalità di partecipazione al rito religioso e il rettore aveva precisato che questa sarebbe avvenuta “ovviamente, fuori dall’orario di servizio usufruendo degli istituti contrattualmente previsti quali flessibilità, permessi, ferie”. L’Uaar aveva ringraziato il rettore per la risposta.
Negli spazi di tutti non ci devono essere simboli di parte, come appunto il crocifisso
Il principio è in fondo semplicissimo e non ci dovrebbe essere bisogno di avviare azioni legali per affermarlo, né merita le rumorose levate di scudi crociati ossessionati dalla difesa della propria identità: negli spazi di tutti non ci devono essere simboli di parte, come appunto il crocifisso. Ma per alcuni homines sapientes (diversi dei quali maschi alfa) l’impulso biologico di marcare il territorio per riaffermare il proprio potere è evidentemente insopprimibile. Un comportamento così naturale che non sorprende affatto. Va semmai rilevata l’incoerenza di porlo in essere in nome del sovrannaturale.
Questo articolo è stato pubblicato qui
Lasciare un commento
Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina
Se non sei registrato puoi farlo qui
Sostieni la Fondazione AgoraVox