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East Zone. Fotografi veneti dell’Ottocento attraverso l’oriente

Patrocinata dalla Regione Veneto, proprietaria dell’imponente villa, conosciuta come la Reggia delle ville venete, e curata da Magda da Siena, la mostra intende focalizzare l’attenzione sulle personalità avventurose e singolari di tre fotografi veneti partiti dal nordest italiano verso l’oriente del mondo, affermandosi come fotografi ed uomini d’affari. Come scrive la Di Siena in un saggio contenuto nel catalogo, ciò che ha maggiormente caratterizzato i fratelli Beato e Adolfo Farsari è stata “la capacità di interagire con popoli diversi, di integrarsi, di accettarne gli usi e i costumi. Sempre pronti a partire per inseguire gli eventi con quella capacità, che caratterizza le genti di cultura veneta, di saper intraprendere, di non arrendersi, di accettare le sfide della vita e di dare un contributo attivo alla scrittura di nobili imprese”.

In visione ci sono 93 fotografie scattate da 26 autori. Così, accanto alle immagini dei tre protagonisti – 5 di Antonio (Corfù 1832- Luxor? 1906), 13 di Felice Beato (Corfù 1834/35? – Firenze 1909) e 14 di Adolfo Farsari (Vicenza 1841-Vicenza 1898) – compare una carrellata di foto di confronto, a testimonianza di come terre lontane seppero calamitare ed affascinare fotografi di diversa provenienza. Dopo una prima parte dedicata ad opere stampate su sali o all’albumina a tinta seppia, riguardanti il vicino e medio Oriente – da Costantinopoli a Gerusalemme a Betlemme, all’Egitto, dove Antonio si sarebbe stabilito definitivamente dal 1860 – ci si immerge nel Giappone, ricco di immagini di luoghi, di ritratti in primo piano o sullo sfondo di ambienti quotidiani, quasi tutte colorate.

L’adozione della tecnica di coloritura a mano delle fotografie si deve all’intuizionintelligente e alla creatività di Felice che la diffuse anche tra i fotografi giapponesi. La coloritura rendeva le foto naturalmente più attraenti e ricalcava per certi versi i temi e gli stili dell’Ukiyo-e, le immagini policrome del mondo Fluttuante che avevano incontrato un enorme successo e diffusione. Trovando per così dire un terreno fertile, Felice, Farsari e molti fotografi giapponesi continuarono a rappresentare i luoghi celebri, affermatisi con le stampe: per esempio sia Farsari che Kusakabe Kimbei, formatosi all’atelier di Felice, fotografarono i ‘Glicini in fiore nel parco di Kameido’, già immortalati dal maestro di Ukiyo-e Hiroshige.

Accanto alla riproposta dei luoghi celebri, per cui sceglievano spesso le stesse inquadrature e le stesse immagini delle xilografie policrome, i due veneti, consci dell’interesse che le foto avrebbero suscitato in Occidente, si specializzarono nei ritratti femminili, in scene di vita quotidiana e registrarono con meticolosa costanza tutta una serie di categorie sociali, di mestieri e di professioni, di negozi, usanze e utensili che di lì a poco, con la restaurazione Meiji che nel 1868 spazzò via il Giappone feudale degli Shogun, e la conseguente occidentalizzazione, sarebbero andati scomparendo. Le fotografie, quali più, quali meno sono nitide, curate nella messa in posa, attente ai particolari. ‘Suonatori ambulanti’(1869) di Felice trasmette persino il senso del movimento. Due donne in abiti tradizionali, una più anziana, l’altra adolescente, si lasciano guidare dallo sguardo maschile del terzo suonatore.

Le donne imbracciano lo shamisen, strumento a corde pizzicato con un grosso plettro, mentre l’uomo suona uno strumento simile, leggermente più piccolo, mediante un lungo archetto. Intressante la lastra che raffigura un massaggiatore cieco, tratta da un’immagine di Felice, utilizzata dal giapponese Takagi Tejiro per la lanterna magica. L’uomo si appoggia su un bastone, fuma un lungo sigaro, indossa i geta, zoccoli ad infradito, molto più alti di quelli in uso oggi, adatti ai terreni non asfaltati. Ordinato, curato nella disposizione di piante ed arbusti e ricco di sfumature appare il giardino fotografato a Kobe da Felice nel 1872. Di Farsari tutti esaltavano l’eccellente qualità delle fotografie, per la cui colorazione lavoravano fino ad una quarantina tra i migliori artisti giapponesi, che egli formava all’utilizzo di speciali pigmenti, in grado di assicurare, nel tempo, la luminosità e l’intensità dei colori.

Persino lo scrittore inglese Rudyard Kipling (1865-1936), in ‘Dispacci dal Giappone’(1889) ne tesse l’elogio: “In Giappone devi comprare assolutamente delle fotografie, e le migliori le puoi trovare da Farsari. Una fotografia colorata sembra essere un abominio, ma Farsari conosce come colorare accuratamente seguendo le gradazioni di luce di questo fantastico Paese”. Manca soltanto la parola alla foto del vicentino che ritrae una famiglia giapponese: marito, moglie e due figli (1889). Il più piccolo è sulla schiena della madre, sulla cui spalla sinistra appoggia un lungo bastone, mediante il quale il padre, all’estremità opposta, sostiene con delle corde un cestone profondo sul quale siede il primogenito. Tra le figure maschili, l’obiettivo di Farsari coglie lo sguardo concentrato di due arcieri (circa 1887). Uno, in piedi, sta tendendo l’arco, l’altro, seduto a terra, sostiene con eleganza il proprio strumento. E ancora una coppia di samurai, dallo sguardo non particolarmente guerriero, fotografati con armature e doppia spada al fianco, probabilmente preoccupati di non poter più esercitare la loro nobile professione. Fa un po’ di tenerezza l’immagine di due apprendista geisha. Le guance appoggiate l’una all’altra, lo sguardo triste, perso nel vuoto.

Ma il Giappone è colto da altri numerosi autori, sia europei, sia nipponici. Tra i primi, il famoso barone boemo Raimund von Stillfried Ratenicz (1839-1911), il quale ereditò lo studio di Felice a Yokohama, prima di cederlo a Farsari. Le 13 foto esposte descrivono con attenzione anche la vita quotidiana. La ‘donna al pozzo’(1880) colpisce per l’espressione, la postura e il perfetto inserimento al centro dell’immagine. Tra i giapponesi Kusakabe Kimbei (1841-1932), possessore anch’egli di uno studio a Yokohama va citato per lo meno per la celebre foto di tre samurai in posa (circa 1880), con un’espressione ora minacciosa, ora stupita, ora assente .

La visione della mostra padovana consente di effettuare un collegamento con quella ‘Ineffabile perfezione’, dedicata alla fotografia giapponese, allestita nel veneziano palazzo Franchetti. Anche in quella ci sono infatti foto di autori presenti in questa: Felice Beato, Adolfo Orsari, Raimund von Stillfried-Ratenicz, Kusakabe Kimbei, Ogawa Kazumasa. Ad un confronto non distratto, si scopre che la foto ‘ragazza in vestiti invernali’ è attribuita ad Anonimo nella mostra di Venezia, ad Orsari in quella di Piazzola. E’ datata ‘circa 1890’ e riccamente colorata la prima, ‘circa 1887’e con una colorazione seppia, la seconda. Diversamente colorata è anche una foto di Farsari , attribuitagli da entrambe le esposizioni. C’è però divergenza sulle didascalie e sulla datazione. A Piazzola si legge ‘Geisha’(circa 1887), a Venezia ‘Ragazza con un fiore tra i capelli’ (circa 1880).

In conclusione, una visita a tutt’e due le mostre consente di comprendere ancor di più l’interesse occidentale per il Giappone che aveva dato vita al gusto del ‘japonisme’, scaturito dall’impatto con la rivoluzionaria modalità pittorica priva di ogni riferimento prospettico, qual’era l’Ukiyo-e. In tal modo, le xilografie policrome eviteranno di scomparire, per rinnovarsi attraverso il nuovo sguardo fotografico, una realtà artistica che raggiungerà un pubblico sempre più vasto e internazionale.

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