E se il governo cade?

La data nella quale il governo dovrebbe continuare a lavorare o rimettere il mandato al presidente della Repubblica è stata fissata per il 14 dicembre – giornata storica perché nel 1995 a Parigi vennero firmati gli accordi di pace tra Bosnia, Croazia e Serbia; nel 2003 riapre La Fenice dopo il rogo del ’96 e in Iraq Saddam Hussein viene catturato dagli americani – quindi tra 21 giorni esatti, tre settimane da oggi.
I numeri in realtà sono vaghi, almeno alla Camera, quindi Berlusconi non ha la certezza di passare quest’ennesima prova del suo laboriosissimo governo oppure doversi dimettere perché non ha più i numeri per governare.
Cerchiamo di fare due conti.
Nel dettaglio sappiamo che in Senato il quorum è fissato a 158 votanti, dato che i senatori della Repubblica sono 315 più i sei senatori a vita (Ciampi, Scalfaro, Andreotti, Colombo, Levi-Montalcini e Pininfarina), per cui al governo basterebbe che tutti i senatori della maggioranza (Pdl+Lega) votassero la fiducia per raccogliere 152 voti e portare a casa il risultato. Ai senatori della coalizione di centro-destra andrebbero aggiunti i senatori degli altri gruppi senatoriali che daranno fiducia al premier (buona parte dei centristi non di Casini), quindi l’asticella dei 158 voti favorevoli parrebbe a loro portata, anche se i conti li stiamo facendo con tutti i senatori presenti in aula il 14 del mese prossimo.
Alla Camera è molto più complicato. In teoria Berlusconi dovrebbe dimettersi nel caso in cui il Parlamento lo sfiduciasse alle due Camere, nella pratica invece basta che un solo ramo del Parlamento non appoggiasse il governo per farlo cadere.
Facciamo anche qui due conti.
I deputati totali sono 630, quindi la fiducia va raccolta con 316 voti. In questo momento, dati come certi, il governo ha 237 voti del Pdl, e 59 della Lega, mentre i 12 del gruppo misto ancora non sono del tutto d’accordo se dare o meno la fiducia. Totale da 296 a 308 voti a favore.
Le opposizioni: il Pd ne ha 206, l’Italia dei Valori 29, Udc 39 più gli 8 dell’Api di Rutelli e una decina di vari gruppi misti. Totale 292. Se si aggiungessero, come si pensa, i 34 voti di Futuro e libertà (erano 36, ma Fini non vota e se n’è perso uno per strada) e i cinque dell’MpA di Lombardo, si arriverebbe a sfiduciare il governo con 330 voti. L’indomani oltre alla Carfagna si dovrebbe dimettere pure Berlusconi.
Nel caso invece Fli e MpA si dovessero astenere dal voto, alla Camera, a differenza del Senato, l’astensione non vale come voto contrario, in quanto serve fondamentalmente per abbassare il quorum, per cui le opposizioni prevarrebbero di misura.
E’ questo il nodo sostanziale della procedura di fiducia tra tre settimane: al Senato la mozione è stata presentata dal governo proponendo la fiducia, mentre alla Camera la mozione è delle opposizioni chiedendone la sfiducia. Il dato certo è che tra 21 giorni vedremo probabilmente aperta una crisi di governo come mai successa nell’era berlusconiana. Speriamo l’ultima…
Altro punto è la questione del dopo-Berlusconi. Cosa succederà se veramente il cavaliere non fosse più al governo? Beh, intanto andrebbe a cadere una legge ad personam approvata da questo governo: il legittimo impedimento. Secondariamente, lo stesso giorno la Consulta dovrà pronunciarsi proprio su questo ddl per l’eccezione di incostituzionalità formulata dai giudici del Tribunale di Milano che si occupano del processo sul caso David Mills, nel quale Silvio Berlusconi è imputato, e nel caso venisse bocciato al presidente del Consiglio non rimarrebbe che il lodo Alfano costituzionale, ma solo nel caso in cui fosse ancora premier. Quindi la resa dei conti è assai problematica e risolutiva.
Si è parlato nei giorni scorsi, sempre in merito ad una caduta anticipata del governo, di fare un governo di transizione che metta mano alla legge elettorale per cambiarla. Personalmente mi trovo critico in questa situazione, non tanto perché mi va bene il porcellum, ma quanto sulle reali possibilità che l’attuale legge possa davvero essere cambiata.
Tutte le componenti politiche si dicono consapevoli che l’attuale legge è sbagliata, ma nessuno è in grado di portare al tavolo delle trattative una proposta che vada bene per tutti.
C’è chi vuole il sistema francese o alla tedesca, con doppio turno o a turno unico, con ballottaggio alla francese o alla tedesca… insomma, due componenti che siano d’accordo su un unico sistema elettorale non ci sono, per questo sono ostico al cambiamento della legge elettorale.
In realtà a me andrebbe benissimo avere la possibilità di eleggere il mio rappresentante in Parlamento con le preferenze, se questo non fosse possibile mi interessa poco quale sistema elettorale attuare: saremo comunque in balia dei partiti e delle loro segreterie.
Con tutto ciò, in Italia c’è un partito che potrebbe fare la differenza e dare il “la” ad una forma nuova e innovativa di scelta dei candidati.
Il Partito Democratico ha nello statuto la possibilità di fare le primarie ogni qual volta ce ne sia l’occasione, per cui basterebbe che si facciano primarie per scegliere i candidati alle politiche e si evita il rischio di andare ad elezioni con una legge elettorale che anche il Pd non vuole.
Naturalmente questa ipotesi è valida solo per un singolo partito. Però è bello dare il senso di responsabilità agli elettori, e quando gli elettori si sentono responsabilizzati anche nello scegliere il proprio candidato la politica diventa anche più pulita. O almeno ci prova.
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