• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Europa > E’ possibile la democrazia nell’eurozona?

E’ possibile la democrazia nell’eurozona?

di Wolfgang Streeck

[estratto dal volume Tempo guadagnato, Feltrinelli, pag.205-209]

Ci si può domandare se si possa giungere a una pacificazione dei conflitti che stanno distruggendo l’eurozona attraverso un processo di democratizzazione. La democrazia potrebbe davvero arrestare le forze centrifughe generate dal fatto che società diverse fra loro sono state costrette dentro la struttura rigida del mercato comune e della moneta unica e, in tal modo, sono state private della loro autonomia di azione all’interno dell’area euro? È possibile, quindi, che la democratizzazione neutralizzi le nuove linee di conflitto che separano gli stati dentro l’area euro, sostituendole con altre di tipo sociale ed economico che le intersechino? Molti di quanti sperano che la soluzione degli attuali problemi del sistema economico e politico europeo stia nella sua democratizzazione sembrano immaginare questo processo come il tentativo di mettere da parte, una volta per tutte, le barriere costituite dai particolarismi che finora hanno impedito una politica salariale sovranazionale, una politica sociale a livello europeo, un diritto del lavoro unico, un regime di codeterminazione o una politica comune di sviluppo regionale.

A furia di riflettere su ciò che sarebbe possibile si rischia di non arrivare mai a una conclusione, soprattutto se si associano le speranze o l’impegno autoimposto a favore di un ottimismo costruttivo. Ma forse si può concordare sul fatto che un progetto democratico per l’Europa, degno di questo nome, dovrebbe essere differente dai progetti per un’“unione politica” quali sono quelli perseguiti da strate­ghi autoritari e neoliberisti come Wolfgang Schäuble, a cui importa agevolare l’obiettivo di stampo neoliberista della centrale hayekiana di “governare con la forza”. Che i pre­sidenti della Commissione e del Consiglio siano eletti o meno “dal popolo” non ha niente a che fare con la democrazia, poiché essi non contano nulla rispetto al presidente della Bce e della Corte di giustizia europea – per non par­lare del presidente della Goldman Sachs. Il concetto di “democrazia di facciata” (si vedano Bofinger et al. 2012) si adatta perfettamente a un sistema politico la cui costituzione legale o di fatto lo obbliga a restare fuori dall’autonomo cor­so dei “mercati”.

Un progetto democratico che abbia per obiettivo di consentire la nomina di un “ministro delle Fi­nanze europeo” – che avrebbe il compito di garantire il funzionamento dei “mercati” e, con ciò, di ripristinarne la “fiducia” – non vale la fatica dei democratici; un progetto democratico che rinuncia a tenere insieme il problema della democrazia con i problemi posti dal neoliberismo o dal capitalismo non è un progetto democratico dato che la sua principale preoccupazione è di tipo neoliberista.

In secondo luogo, un progetto democratico per l’Euro­pa dovrebbe essere meno utopico del progetto del mercato unico che dal 2008 si trova a vacillare. Si dovrebbe evitare, in modo speculare, di ripetere l’errore dt trattare l’una cosa — l’economia e la società — indipendentemente dall’altra — i sistemi economici e gli stili di vita. In realtà, entrambe sono strettamente connesse tra loro. Così come un economia unica non può imporre modi di vita diversi senza l’uso della forza, allo stesso modo economie e stili di vita tra loro diversi non possono essere costretti in un ordine sociale e politico comune.

La democrazia in Europa non può essere un progetto di omogeneizzazione istituzionale. Diversamente dal neoliberismo, non dovrebbe e non potrebbe sot­trarsi al difficile compito di far rientrare nel proprio ordinamento le differenze nazionali che si sono determinate storicamente tra i popoli europei. Il Belgio, una nazione composta da due sole comunità e con una storia ormai lunga, malgrado ciò minaccia di smembrarsi a causa di una qualche forma di contaminazione originata da conflitti di tipo identitario o distributivo, che si sono riacutizzati da quando è scoppiata la versione europea della crisi finanziaria e fiscale, ed è per questa ragione che ci è voluto un anno e mezzo per riuscire a formare un governo nazionale. Un costituente europeo dovrebbe affrontare gli stessi tipi di conflitti, ma moltiplicati e notevolmente complicati, tutti in una volta, e non all’intemo di una Costituzione democratica già esistente, bensì come precondizione per la sua realizzazione.

Nell’Europa che esiste nella realtà non sarebbe concepibile una Costituzione unitaria e giacobina scritta per uno stato europeo democratico. Senza una suddivisione federale e un’ampia autonomia a tutela delle minoranze, senza una regolamentazione che difenda dall’egemonia della maggioranza i diritti delle tante e diverse società, comunità economiche o identitarie fondate sulla prossimità territoriale che formano l’Europa – come avviene in Belgio, ma anche in Spagna e in Italia, nonché nelle relazioni tra Finlandia e Grecia, oppure tra Danimarca e Germania – non potrebbe nascere alcuna democrazia. 

Chi volesse scrivere una Costituzione per l’Europa non dovrebbe solo trovare il modo di integrare gli interessi dei vari paesi europei, quali a esempio la Bulgaria o i Paesi Bassi, ma dovrebbe anche affrontare i problemi rimasti irrisolti di stati nazionali incompiuti come la Spagna e l’Italia. La loro diversità interna in relazione all’identità e agli interessi dovrebbe, e vorrebbe, essere rappresentata in qualsiasi assemblea costituente europea. Sarebbe un compito politico titanico riuscire ad accogliere tutto ciò in una Costituzione accettabile e richiederebbe un ottimismo costruttivista in nulla inferiore a quello dei tecnocrati del mercato neoliberista.

In terzo luogo, la ridemocratizzazione dell’Europa avreb­be bisogno di tempo, così come ha avuto bisogno di tempo il progetto neoliberista del mercato unico per arrivare vici­no al suo compimento, per giungere poi alla sua crisi più profonda, da cui spera di uscire con una fuga in avanti. Le istituzioni di una democrazia sovranazionale non potreb­bero nascere da un parto intellettualistico volontario. Per una cosa del genere non esistono modelli nel passato, e dovrebbero venire elaborati sulla base del materiale che si ricava dalla storia. Una convenzione che scrivesse una Co­stituzione per un’Europa democratica potrebbe essere composta solo dai volti familiari dei personaggi politici di oggi. Dovrebbero farne parte tutti gli stati dell’Unione eu­ropea, non solo i membri dell’Unione monetaria. E do­vrebbe lavorare mentre, tutto intorno, i conflitti in corso sul consolidamento fiscale, sulla riduzione del debito, sul­la vigilanza e sulle “riforme” surriscaldano l’opinione pub­blica, aumentano la reciproca diffidenza e pregiudicano i risultati delle consultazioni.Occorrerebbero anni prima che fosse pronta una Costituzione capace di unire l’Euro­pa e di rendere — forse — democratica l’eurozona tramite un nuovo processo di addomesticamento del capitalismo di mercato. Arriverebbe troppo tardi per scongiurare una soluzione di tipo neoliberista all’attuale triplice crisi.

Una società eterogenea in Europa significherà, preve­dibilmente, anche un’eterogeneità nei modi di vivere e nel­le economie a livello locale, regionale e nazionale. Una costituzione democratica per un’Europa unita può esistere solo passando attraverso il riconoscimento delle differen­ze di coloro che devono essere garantiti dagli ordinamenti a tutela delle autonomie. La negazione di tali diritti può portare solo al separatismo, che dovrà essere acquisito oppure represso con la violenza; quanto più la popolazione di una nazione è eterogenea, tanto più sanguinosa sarà la storia dei tentativi riusciti o meno di unificarla: si pensii alla Francia, alla Spagna sotto Franco oppure anche, tra gli altri, agli Stati Uniti. La costituzione fiscale è fondamentale per ogni organizzazione stabile eterogenea, per­ché definisce quale parte della società, considerata come una comunità, e in quali circostanze ha diritto alla solida­rietà collettiva delle altre parti della società. Questo vale anche all’interno degli stati nazionali: quanto più ampia è l’autonomia, tanto minori saranno i diritti e doveri con­nessi alla solidarietà interna della società. I conflitti ri­guardo a ciò che questo comporta concretamente non ven­gono mai meno, anche in una società nazionale omoge­nea, come quella tedesca, dove non si finisce mai di discu­tere sulla compensazione finanziaria tra iLänder. Nella eurozona dove, già dopo pochi anni, conflitti di questo genere sono onnipresenti a causa della sua estrema etero­geneità, essi sono troppo forti per poter essere risolti con decisioni prese a maggioranza – in modo particolare quando l’egualitarismo istituzionale dell utopia liberale, pei aver sbarrato la strada all’opzione secessionista, susciti richieste di correttivi sociali della giustizia del mercato tramite compensazioni tra le varie parti della società. Non c’è ragione di aspettarsi che il particolarismo nazionale e regionale, così come i conflitti di interesse e di identità che esso determina, scomparirebbero se la società della eurozona, troppo eterogenea per avere una moneta comune, si dotasse all’improvviso di una Costituzione unica e demo­cratica.

L’errore concettuale di Hayek, quale emerge dal suo pro­getto di una federazione internazionale che impone un libe­rismo forzato, consisteva nel fatto che egli era convinto che tutte le società nazionali coinvolte avrebbero voluto entra­re, e sarebbero entrate, in un mercato libero e globale rego­lato da un governo centrale per il bene della pace, e sareb­bero entrate anche in un regime di concorrenza, in modo da rinunciare agli interessi e alle identità particolari delle loro comunità.

Non aveva previsto che quelle società avreb­bero cercato di difendere i loro stili di vita e le loro econo­mie, fondate sulle rispettive caratteristiche culturali, facen­do ricorso alle istituzioni politiche rimaste a disposizione – forse perché non le considerava altro che tatuaggi sulla pel­le dell’hómo ceconomicusuniversale; oppure perché nel suo mondo non era prevista la possibilità di un’azione collettiva democratica contro la giustizia del mercato.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità