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Due scenari nella mia Pasqua

Da credente, sin da piccolo e tuttora, vivo con intensità ed atti partecipativi la settimana che precede la Pasqua.

E però, questa del 2009, credo che la terrò impressa in modo un po’ speciale, per via di immagini ed eventi che vi hanno trovato coincidenza e svolgimento.

La mattina del 9 aprile, Giovedì Santo, un inspiegabile abbrivo interiore mi ha indotto e condotto al capezzale del giovane fratello di una persona da molto tempo vicina alla mia famiglia, già conosciuto in una circostanza e che sapevo gravemente ammalato. L’ho trovato, come paventavo, agli stremi, nondimeno gli ho augurato la Buona Pasqua, lasciandogli anche dei libri, per quando avesse voluto scorrerli: e lui, ha ricambiato con un silenziosissimo grazie.

Fra pomeriggio e sera, ho assistito, in Duomo, alla funzione della Cena e, secondo consuetudine, ho peregrinato per una serie di altre chiese della città.

Ovunque, mi ha sorpreso un particolare, segno, forse, senza rumore ma significativo, dei tempi che andiamo attraversando.

Nell’occasione, giustappunto, della Cena, all’interno dei luoghi sacri si suole allestire appositi altari per l’esposizione del Santissimo Sacramento, altari già comunemente noti come Sepolcri e, per tradizione, sempre ricchissimi di fiori, piante, addobbi, luci, insomma sfarzosi.

Stavolta, invece, frammista all’immutata intensa partecipazione dei fedeli, la nota distintiva e comune di detti apparati ornamentali, almeno qui a Lecce, è risultata la semplicità, la sobrietà: vi ho finanche scorto tantissimi vasi con pianticelle ricavate dal germoglio, in estrema naturalezza, dei semi di lino, come accadeva cinquanta anni fa e prima ancora.

Nel pomeriggio dell’11, Venerdì Santo, ho purtroppo appreso della fine, a soli trent’anni compiuti il 25 marzo dell’Annunciazione, del povero Luca, mite, buono e sfortunato, al quale ero andato a far visita il giorno precedente. Due sequenze: i ragazzi e le ragazze stazionanti numerosissimi sotto il portone di casa, lui coricato a dormire, un’ultima volta, fra lenzuola candide, finemente ricamate, verosimilmente, dalle mani amorevoli e sperimentate carezzevoli sino all’ultimo, della sua mamma, prima che divenisse sposa.

Siffatte immagini mi sono ripetutamente sfilate innanzi agli occhi e dentro, anche nel clima assorto con cui ho presenziato alla processione della Croce, nel fresco buio notturno, per le strade del mio quartiere.
 

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