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Dopo la sentenza europea, qualcuno vuol ancora difendere la legge sulla fecondazione?

Fortemente voluta e votata dai politici clericali, poi sopravvissuta a un referendum abrogativo grazie all’astuzia astensionista dei vescovi, la legge 40 sulla fecondazione artificiale (già definita “legge burqa” da Le Monde) sta continuando a crollare in punta di diritto. La Corte costituzionale e la Corte europea dei diritti dell’uomo la stanno facendo progressivamente a pezzi. Tanto che sarebbe più caritatevole farla finita.

La legge 40 ha posto molti paletti alla fecondazione artificiale: pur promossa da sedicenti difensori della “vita”, il suo dispositivo ha cercato in ogni modo di impedire che tante vite nascessero. Quantomeno in Italia, perché una delle sue conseguenze è stato l’immediato proliferare dei cosiddetti “viaggi della speranza”. Tra le tante assurdità che contiene la legge, quella più odiosa è rappresentata dal divieto di ogni tipo di diagnosi genetica sull’embrione: ciò significa che eventuali malattie genetiche trasmesse all’embrione non possono essere diagnosticate per tempo, costringendo la madre a subire l’impianto anche di embrioni gravemente malati.

La sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di ieri ha ribadito, ancora una volta, come “il sistema legislativo italiano” sia “incoerente”, perché consente l’aborto terapeutico ma inibisce la diagnosi preimpianto (il caso specifico riguardava una coppia fertile portatrice sana di fibrosi cistica). Pertanto, per “violazione del rispetto della vita privata e familiare” dei ricorrenti, la Corte ha condannato l’Italia a versare alla coppia 15.000 euro per danni morali e 2.500 per spese legali.

Nel 2010 i giudici di Strasburgo avevano già condannato lo Stato austriaco per il divieto nei confronti della fecondazione eterologa: un divieto presente anche nella legge italiana. Da parte sua, la Corte costituzionale, nel 2009, ha giudicato illegittima la disposizione che fissa a tre il numero massimo di embrioni impiantabili durante i processi di fecondazione artificiale. La stessa Consulta ha inoltre dichiarato illegittimo anche l’articolo 3, che omette di precisare che il trasferimento di embrioni deve essere effettuato senza pregiudizio della salute della donna.

Di fronte a questo autentico diluvio di sentenze viene da chiedersi chi l’abbia scritta, questa legge retrograda e approssimativa. La risposta è semplice: un parlamento clericale, sotto dettatura delle autorità di un altro stato che non ha sottoscritto la Convenzione europea sui diritti dell’uomo. La vicenda ha dunque mostrato per l’ennesima volta come la politica italiana alleata con i desideri dei vescovi calpesti i diritti delle persone.

Ci si chiede ora se il governo si comporterà come nel 2010, ricorrendo alla Grande Camera contro la sentenza. Il premier Monti, fresco reduce dall’ennesima visita al papa, schiererà il nostro paese al fianco di quelli più arretrati sul piano dei diritti civili, come fece il governo Berlusconi nel caso della sentenza sull’imposizione del crocifisso nelle aule della scuola pubblica? Oppure seguirà la strada più subdola di non insistere per la via legislativa, ma di adottare vessatori provvedimenti amministrativi, riguardo ai quali la Corte europea mostrò di lavarsene le mani inventando il “margine di discrezionalità”?

Il ministro Balduzzi, impegnato alla Settimana teologica del Meic (Movimento ecclesiale di impegno culturale) di cui in passato è stato presidente, si è per ora messo sulla difensiva, annunciando di voler attendere le motivazioni. Di fronte all’evidente illegittimità e dis-umanità della legge 40 (di cui restano ormai soltanto “alcuni scheletri nell’armadio”, come ha dichiarato il nostro presidente onorario Carlo Flamigni) sarebbe invece venuto il momento di abbandonarla al suo destino, sostituendola con un provvedimento rispettoso dei diritti umani e della volontà di quei cittadini che, anche se i vescovi vorrebbero far di tutto per impedirglielo, desiderano avere figli (e figli sani) attraverso la fecondazione artificiale.

Resta comunque il fatto che l’Italia è riuscita ancora una volta a fare una pessima figura. Le conseguenze dell’inchino del legislatore ai desideri delle gerarchie ecclesiastiche sono state catastrofiche, come lo fu l’inchino del comandante Schettino. Il paese ha invece più che mai bisogno di una classe dirigente con la schiena dritta.

L’associazione

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