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Dopo Codogno in Italia si muore di più

 
Cosa ci dicono sul Coronavirus i primi dati sulla mortalità diffusi dall’ISTAT
Grazie alla pubblicazione da parte dell’ISTAT dei dati sui decessi in 1.084 comuni, possiamo avere un quadro preliminare sull’impatto che l’epidemia di Covid-19 ha avuto e sta avendo sulla mortalità nel nostro Paese.

Prima di iniziare l’analisi, sono necessarie tre premesse:

  • Innanzitutto, si tratta di dati parziali, relativi a poco più di un comune su otto e che vanno dal 1° al 21 marzo 2020. Il fatto che manchino gli ultimi giorni di marzo non deve essere sottovalutato, perché 10 giorni durante un’epidemia possono essere tantissimi: è il caso del nostro Paese, dove i decessi accertati tra i soli pazienti positivi al Coronavirus sono passati, tra il 21 e il 31 marzo, da 4.825 a 12.429, lasciando presagire un possibile ‘picco’ di decessi al di fuori del periodo per cui l’ISTAT ha fornito i dati. Per molte delle province e dei comuni di cui parliamo, insomma, questa fotografia potrebbe essere più positiva e ottimistica di quella finale, mentre è più difficile capire quale sarà il dato finale per l’intero Paese.
  • In secondo luogo, i dati riguardano la mortalità globale: non possiamo ancora dire quanti tra i decessi totali siano legati al Covid-19, ma possiamo solo fare ipotesi e supposizioni a partire dai dati e da quello che sappiamo della malattia (inizio dell’epidemia, distribuzione geografica, letalità più alta tra le fasce più anziane e tra gli uomini).
  • Nei dati diffusi dall’ISTAT il Nord, maggiormente colpito dall’epidemia, risulta sovra-rappresentato: è quindi possibile che il bilancio nazionale di fine mese sia più magnanimo nelle proporzioni. Questo però non si tradurrebbe in una minore pericolosità del Coronavirus, ma confermerebbe al contrario il dato di un’epidemia che, pur essendo localizzata geograficamente in meno di un terzo del Paese e nonostante misure di contenimento inedite, è stata ugualmente in grado di far aggravare in maniera significativa il bilancio demografico di uno Stato occidentale.

Iniziamo dai dati globali del nostro campione di 1.084 comuni: nel periodo tra il 1° e il 21 marzo dei 5 anni precedenti (2015-2019) si sono registrati, in media, 7.843 decessi. Nello stesso periodo del 2020, invece, si registrano 16.216 decessi, cioè poco più del doppio. L’aumento di marzo 2020, inoltre, è successivo ad un periodo di relativa calma nei primi mesi di quest’anno, quando – complice un un’influenza stagionale più mite delle precedenti – i morti sono stati inferiori rispetto agli anni passati. Per questo, sui social, potreste vedere vari utenti usare erroneamente i dati trimestrali per dire che tra questi due anni nulla è cambiato: in realtà, i dati successivi alla scoperta del paziente 1 di Codogno (20 febbraio) raccontano un’altra storia, purtroppo tragica.

Iniziamo da un numero: 592. Si tratta del numero massimo di decessi registrato in un solo giorno nel primo trimestre dei 5 anni precedenti: era il 12 gennaio 2017 e morirono, per l’appunto, 592 persone. Il principale responsabile, all’epoca, fu l’influenza stagionale: nel gennaio 2017 l’Italia conosceva infatti il ‘picco’ di una brutta epidemia influenzale, capace di uccidere – si stima – più di 25.000 persone tra mortalità diretta e indiretta.

Tre anni dopo, il nostro inizio di 2020 è stato su ben altre note: prima della scoperta del paziente 1 di Codogno, infatti, in nessun giorno di quest’anno si sono superati i 500 decessi nel campione di comuni che abbiamo a disposizione. Il ‘picco’ nei decessi giornalieri, prima dell’inizio dell’epidemia, è stato il 31 gennaio 2020, con 436 decessi. Sembrava, insomma, una buona annata.

Poi, il 20 febbraio, si è scoperto che il Coronavirus da Wuhan era riuscito ad arrivare anche in Italia. Da allora, prima lentamente e poi in maniera sempre più netta, i decessi giornalieri sono aumentati: il 6 marzo 2020, per la prima volta, nel nostro campione di comuni si sono superati i 600 decessi e si è tristemente stabilito un nuovo record, scalzando il 12 gennaio 2017. Ma non è finita lì: per almeno 16 giorni consecutivi, e cioè dal 6 al 21 marzo 2020, il numero di decessi è sempre stato superiore al giorno che negli anni 2015-2019 ha registrato il maggior numero di decessi nel periodo gennaio-marzo. Ci sono addirittura due giorni, cioè il 18 e il 19 marzo, in cui i decessi giornalieri hanno superato quota 1.000. La curva sembra poi mostrare un lieve calo il 20 ed il 21 marzo, ma la serie di dati ISTAT si interrompe lì e non è quindi possibile conoscere l’evoluzione del trend dopo quella data.

L’aumento della mortalità a marzo, peraltro, non è omogeneo, e ci sono almeno tre elementi che meritano attenzione: genere, geografia ed età.

Iniziamo dal genere: nel periodo 1-21 marzo degli anni compresi tra il 2015 e il 2019 erano sempre venute a mancare più donne che uomini (costituivano rispettivamente, in media, il 53,7% e il 46,3% dei decessi). Ma nel 2020 la proporzione si è invertita e sono venuti a mancare 8.474 uomini (+133%) e 7.742 donne (+84%). In entrambe le categorie la mortalità è in aumento ma, tra gli uomini, l’incremento è nettamente più sensibile. In effetti, come indicato nella tabella 1, il 57,8% dei deceduti in eccesso rispetto alla media del quinquennio 2015-2019 sono uomini.



Anche la differenza tra le diverse classi d’età è rilevante. Tra gli under-14 niente sembra cambiare, anzi il dato è persino più basso della media degli anni precedenti (un possibile effetto positivo del lockdown?). Al crescere dell’età, tuttavia, la situazione peggiora: già nella popolazione in età da lavoro (15-64 anni), il numero di decessi in eccesso rispetto alla media degli anni passati è rilevante: si passa da 725 a 1.144, un aumento del 58%. Ancora più forte risulta essere l’incremento tra gli over 65, dove i decessi più che raddoppiano: degli 8.372 morti ‘in più’ di tutte le età registrati a marzo 2020 rispetto alla media degli anni passati, 7.955 avevano 65 anni o più.

Infine, la geografia. L’aumento dei decessi è estremamente concentrato geograficamente e le prime 10 province italiane per ‘eccesso’ di mortalità assommano 5.854 morti in più rispetto alla media degli anni precedenti, con incrementi che variano dal +42% della provincia di Milano al +454% di quella di Bergamo. Come si può osservare dalla tabella e dalla mappa, si tratta di province quasi sempre limitrofe e, con l’eccezione di Pesaro e Urbino, situate tutte tra la Lombardia e l’Emilia.

Tenendo a mente che si tratta comunque di dati parziali, questa geografia è già in grado di darci delle informazioni sull’efficacia delle zone rosse e delle norme di distanziamento sociale. Certo, servono più dati per corroborare questa tesi, ma si può già partire da questa osservazione: nonostante le similitudini tra Codogno e Alzano (entrambi focolai nosocomiali) ed una data di inizio dell’epidemia simile, e anche se la zona rossa lodigiana non riguardò che uno sparuto numero di comuni, nella provincia di Lodi i decessi sono aumentati del 247%, mentre in quella di Bergamo del 454%. Due zone d’Italia tutto sommato simili, dunque, evolvono a velocità diverse, e tra le differenze quella che spicca maggiormente è proprio la creazione di una zona rossa sin dall’inizio nella bassa lodigiana ma non nel bergamasco.

Figura 1: distribuzione dell’incremento nei decessi tra 2020 e 2019 per provincia, periodo 01-21/03, solo province con almeno 50 decessi riportati. Si tratta di dati parziali riferiti a 1.084 comuni. Fonte: Elaborazione Quorum/YouTrend su dati ISTAT.

Tutto questo è quindi dovuto al Covid-19? Quanti di questi decessi erano positivi, ma sono sfuggiti ai controlli? È troppo presto per avere un’indicazione precisa, ma ci sono diversi elementi che fanno pensare ad un forte legame tra epidemia ed eccesso di mortalità. I morti ‘in eccesso’ sono concentrati nelle zone geografiche più colpite dall’epidemia, quelle di cui leggiamo più spesso sui giornali, oltre che nelle fasce d’età più avanzate e tra gli uomini (due categorie che, come sappiamo dai dati ISS, sono tra le più suscettibili al Coronavirus).

Anche se nessuno di questi elementi è un indizio sufficiente per sapere quanti morti in questo raddoppio di decessi siano effettivamente dovuti all’epidemia di Coronavirus, sono nondimeno tutte indicazioni di un ruolo importante e già visibile del Covid-19 sui decessi. Non necessariamente si tratterà solo di decessi tra i ‘positivi’: la caratteristica di questa epidemia è stata l’aver messo sotto pressione il nostro sistema sanitario, oltre che la rete di assistenza. L’aumento di mortalità include quindi non solo i contagiati, ma anche tutte quelle persone che per cause diverse dal Covid-19 avevano bisogno di assistenza medica ma non sono riuscite ad avervi accesso a causa della situazione di stress degli ospedali, in particolare quelli locali, più piccoli e meno attrezzati. Restano quindi aperte ancora molte domande, importanti non solo per capire il passato e il numero di decessi dovuti all’epidemia, ma anche per pensare a come comportarsi dopo e quali tempi e modalità adottare per riaprire.

 

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