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Donne in politica, ancora lontani dalla parità

L’ultima tornata elettorale ha visto 7 regioni andare al voto e molto si è detto sulla tenuta delle coalizioni di centrodestra e di centrosinistra, sull’aumento (per ora infruttuoso) del Movimento 5 Stelle, e sulla bassa affluenza alle urne. Con questo articolo vogliamo fare il punto su un aspetto differente: la presenza femminile nei consigli regionali del Belpaese, e il numero di sindaci donna al netto dei risultati delle comunali 2015.

Un primo dato complessivo che emerge è come la percentuale di elette sia estremamente contenuta: su 917 consiglieri regionali, solo 155 sono donne, pari al 16,9%. Quindi meno di uno scranno su cinque è occupato da una donna. Se il dato ci sembra sconfortante, va ricordato come solo due anni fa la percentuale fosse ancora più bassa e ci si fermasse al 13,9%. Ma vediamo i risultati per regione:

Sul podio troviamo l’Emilia-Romagna (34%), la Toscana (26,8%) e la Campania (25,5%), tre regioni che prevedono nel loro sistema elettorale la cosiddetta doppia preferenza di genere: se si esprimono due voti di preferenza, il secondo per essere valido deve essere espresso a favore di un candidato o una candidata di sesso diverso dal primo. Ciò, nell’intenzione del legislatore, dovrebbe favorire l’elezione di consiglieri donne e questo obiettivo sembra confermato dai dati (tale meccanismo è stato introdotto anche nell’Italicum così come approvato in vi definitiva). L’introduzione della doppia preferenza di genere è avvenuta per prima a livello regionale, in attuazione dell’art. 117 della Costituzione, nono comma (1). Tuttavia in numerose altre regioni (Puglia, Calabria, Veneto, Friuli), tale norma non è stata approvata dal consiglio regionale, e rimane in vigore il sistema della preferenza unica. Chiude la classifica la Basilicata, che non presenta consiglieri donne fra i propri eletti.

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Se si aggregano i dati regionali per area politico-geografica, non ci stupisce il primato della Zona Rossa, trainata dalle percentuali di Emilia-Romagna e Toscana. Al secondo posto si piazzano le regioni settentrionali (17,7%), mentre sotto la media si collocano le regioni del Centro (Lazio, Abruzzo, Molise) e le regioni meridionali e insulari. Quindi l’aggregazione geografica e politica sembra avere un riscontro coerente con la percentuale di donne elette.

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Un’indicazione simile emerge prendendo in considerazione il tasso di secolarizzazione come elaborato da R. Cartocci (Geografia dell’Italia Cattolica, 2011) e aggregando le regioni in tre classi: possiamo notare come le regioni più secolarizzate tendano a presentare un numero maggiore di donne nei propri consigli regionali. L’indice elaborato da Cartocci tiene conto di diversi fattori (tra cui: partecipazione alla messa e all’ora di religione nelle scuole, percentuale di matrimoni civili e di figli nati fuori dal matrimonio, destinazione dell’8×1000) e varia dal valore di 177 dell’Emilia Romagna al 32 della Basilicata. L’unico caso deviante resta quello della Campania che, pur essendo una regione meridionale e a bassa secolarizzazione, presenta una “alta” percentuale di donne, essendo stata la regione che per prima ha introdotto la doppia preferenza di genere nel 2009.

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