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Donne e uomini, in bilico tra genitorialità e lavoro

Da molti anni il dibattito sulla conciliazione tra vita famigliare e lavorativa delle donne diventate madri occupa il territorio del work life balance (equilibrio personale e lavorativo). Le critiche su questo argomento non mancano, tra queste l’articolo pubblicato da Vittorio Feltri sul “Libero Quotidiano.it” ha generato un forte scalpore per le sue convinzioni estremamente conservatrici: “E’ assurdo asserire che le signore guadagnano meno degli uomini, semmai lavorano meno ed è normale che abbiano una busta paga più magra. Le prestazioni in fabbrica o in ufficio si retribuiscono in base alla qualità e alla quantità, come è giusto che sia. Non esiste soluzione per una parificazione degli emolumenti, e non è il caso di gridare allo scandalo se le mamme sono penalizzate rispetto ai papà. La natura non è democratica, lo vogliamo capire oppure no? Le donne che pretendono di avere lo stesso stipendio degli uomini hanno una sola via di uscita: evitino di sposarsi e di diventare madri ad ogni costo, rifiutando i “suggerimenti” del cosiddetto orologio biologico che le convince a riprodursi” (Vittorio Feltri, 2018).

Ragionando in questi termini si presuppone che fare un figlio sia paragonabile ad un hobby come tanti altri: ‘Che fate oggi?’ – ‘io vado in palestra..’ – ‘io faccio shopping..’ ‘io faccio un figlio!’; ed in quanto passatempo, le donne non hanno alcun diritto di pretendere lo stesso trattamento degli uomini, che lavorano giorno dopo giorno senza fiatare. Ebbene, appare evidente una forte confusione in merito a quelle che sono le leggi che governano il mondo del lavoro nonché delle dinamiche che possono spingere una coppia, e non la sola donna, a generare un figlio.

Rispetto al desiderio di procreare è importante notare quanta poca attenzione venga data all’atto decisionale. Con molta probabilità agisce nell’individuo la spinta primordiale di preservare la specie e quindi di procreare, ma le esperienze cliniche e i dati statistici dimostrano che questo istinto è fortemente mediato da altri fattori, quali il condizionamento culturale ed il clima relazionale in cui viviamo. Di conseguenza appare rilevante evidenziare quanto la scelta di fare un figlio non possa essere equiparata ad un hobby ma sia una scelta che spesso viene ben ponderata e non solo da uno dei due componenti della coppia, ma da entrambi i partner.

Inoltre per quanto concerne le leggi che governano il mondo del lavoro, se si leggessero i documenti e le varie riflessioni elaborate nei diversi paesi dell’UE si capirebbe come la conciliazione tra vita privata e lavoro sia un tema intimamente connesso alla discussione che si svolge attorno all’eguaglianza tra donne e uomini e che maternità e paternità devono essere visti e valutati come parte integrante dei diritti di cittadinanza sociale delle persone.

Difatti la stessa legislazione italiana tutela – allo stesso modo – i futuri genitori, mediante delle norme che disciplinano i permessi e i congedi di maternità e paternità (decreto legislativo n. 151 del 26 marzo 2001). Nonostante questo, tuttavia, la vita delle neo mamme non è così semplice come potrebbe sembrare. A fronte di un ritorno in azienda la donna si trova a dover gestire una serie di incombenze non solo professionali ma anche familiari, che se non si ha un adeguato supporto sociale implicano varie difficoltà di gestione. In alcuni paesi scandinavi le politiche di conciliazione sono improntate sul supporto dei genitori mediante sussidi consistenti, scuole che restano aperte anche dopo le 18.00, congedi di paternità e maternità più lunghi. In Italia la situazione appare un po’ diversa e, anche in questo caso, le disparità territoriali tra settentrione e meridione si fanno sentire: secondo un recente rapporto di Save the children – diventare mamme è più facile al Nord che nel Mezzogiorno dove troppo spesso i servizi sono carenti ed il sostegno alla maternità è minore. Le donne si trovano a dover affrontare la maternità da sole e sempre più spesso hanno di fronte a loro un enorme bivio esistenziale davanti al quale è necessario prediligere la famiglia al lavoro o viceversa. A tale proposito Save the Children spiega: “Le donne decidono di diventare madri sempre più tardi (l’Italia è in vetta alla classifica europea per anzianità delle donne al primo parto con una media di 31 anni) e rinunciano sempre più spesso alla carriera professionale quando si tratta di dover scegliere tra lavoro e impegni familiari (il 37% delle donne tra i 25 e i 49 anni con almeno un figlio risulta inattiva)”.

Stando a questi dati, verrebbe da chiedersi per quale ragione la donna debba immolarsi ad oggetto sacrificale, perché continua a prevalere l’idea di immolazione materna, quasi a ricordare che se non c’è sacrificio non si può essere una buona mamma?

La realizzazione personale è fondamentale per l’individuo, non solo perché ci permette di stare bene con noi stessi, di soddisfare i nostri desideri, aspettative e sogni, ma anche e soprattutto perché – quando si hanno delle responsabilità nei confronti dei figli- realizzare quello che ci piace diventa un monito ed un insegnamento utile per le nuove generazioni che impareranno a loro volta ad affrontare le difficoltà della vita a testa alta senza arrendersi. Sibilla Aleramo nel suo libro “Una donna”, pubblicato nel 1906, scrisse a questo proposito “Se una buona volta la catena si spezzasse, e una madre non sopprimesse in sé la donna, e un figlio prendesse dalla vita di lei un esempio di dignità? Allora si incomincerebbe a comprendere che il dovere dei genitori inizia ben prima della nascita dei figli e che la loro responsabilità va sentita innanzi, quando più la vita egoistica urge imperiosa, seduttrice(…).Per quello che siamo, per la volontà di tramandare più nobile e più bella in essi la vita devono esserci grati i figli, non perchè, dopo averli ciecamente suscitati dal nulla, rinunziamo ad essere noi stessi”.

Inoltre è importante tenere presente anche le ripercussioni che una vita frenetica, come quella dei genitori moderni, può avere sul bambino. Trovare il tempo per prendersi cura dei bisogni di crescita dei figli corrisponde, non solo a far sì che si attivino quelle risorse interne che tengono lontano dalla psicopatia “la malattia di chi non ama perché non è stato amato” ma anche e soprattutto che il bambino si senta oggetto di interesse ed amato. I bambini che vengono trascurati dai genitori, tendono all’isolamento e spesso non manifestano il loro malessere. Introiettano un modello genitoriale negativo: “non sarò mai come te, non ci sei mai, un giorno da grande non farò i tuoi stessi sbagli” (G. Papadia 2016).[1]

Alla luce di quanto detto, cosa si può fare in merito? Come si può aiutare le donne in questo tortuoso percorso verso l’equilibrio lavorativo e familiare? Migliori politiche di Welfare aziendale possono venire incontro alle famiglie, promuovendo una maggiore attenzione alla persona. Ad esempio, alcune aziende come la Schneider Electric Italia, nel quadro delle politiche di conciliazione tra vita personale e professionale, hanno introdotto alcuni percorsi formativi fruibili in modalità e-learning rivolti sia alle madri sia ai padri che vogliono valorizzare la genitorialità e facilitare il rientro dal congedo. Inoltre sono sempre di più le aziende che, per consentire ai propri dipendenti di conciliare l’attività lavorativa con le esigenze familiari, offrono un servizio di asilo nido aziendale. In questo modo i genitori/dipendenti non devono fare strada extra una volta usciti di casa e, per qualunque evenienza, sono vicini ai propri figli. Un’altra iniziativa particolare che sembra avere riscontri positivi è “la giornata dei figli al lavoro”. Anche se in Italia non è ancora una pratica comune, in particolar modo nel mondo anglosassone sono numerose le aziende che, con cadenza fissa, chiedono ai propri dipendenti di portare al lavoro con loro i propri figli.

Nel ventunesimo secolo non è più accettabile che una mamma debba nascondere di esserlo per poter essere assunta da un’azienda, o che una volta diventata mamma debba essere svilita nel contesto di lavoro ed essere retribuita di meno, non può e non deve essere considerata una cosa normale che una madre debba rinunciare al proprio lavoro per la propria famiglia.

Basta fare gli equilibristi, troviamo invece il giusto equilibrio per una società più aperta alle necessità degli individui e delle nuove generazioni.

 

Tirocinante: Alessia Iusi

Tutor: Fabiana Salucci

 

Bibliografia:

Aleramo, S., & Corti, M. (1994), Una donna (Vol. 1036), Feltrinelli Editore.

 

Linkografia:

http://www.liberoquotidiano.it/news/personaggi/13300926/vittorio-feltri-donne-soldi-stipendio-retribuzione-lavoro.html

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/01/28/donne-se-fate-figli-e-un-problema-vostro-ed-e-giusto-che-vi-sottopaghino/4118468/

http://www.ilsigarodifreud.com/genitori-e-lavoro—perchè-non-ci-sei-mai

Questo articolo è stato pubblicato qui

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