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Diavoli e diaconesse. Dopo le Unioni Civili, "formazioni sociali specifiche", il diaconato femminile

E dopo anni, battaglie, rimpalli, emendamenti sui segni zodiacali, canguri carpiati e chi più ne ha più ne metta, anche l’Italia si è dotata di un minimo di normativa atta a regolamentare la omoaffettività. Un minimo, per nulla scontato nemmeno quello, ma che comunque tra conte parlamentari e accuse reciproche, tra una cesoiata fra Senato e Camera, rispetto al ddl Cirinnà “doc” è comunque un compromesso. La legge riconosce infatti le unioni civili come “formazioni sociali specifiche” (e invece era un calesse), con importanti diritti e doveri assistenziali e patrimoniali, ma lascia fuori, e ben lontano, tanto l’auspicabile matrimonio egualitario quanto la stepchild adoption e l’omogenitorialità nel suo complesso.

Ma tempo e luogo di commentare e seguire gli sviluppi, anche tribunalistici, di questa anelata normativa ce ne sarà ancora per molto. Piuttosto, colpiscono le immediate reazioni, soprattutto di coloro che hanno sempre dichiarato esserci cose ben più importanti del matrimonio gay e che invece adesso ne sembrano ossessionati. Tempo 24 ore e già era pronto il lancio della campagna per un referendum abrogativo per parziale incostituzionalità (tra i promotori, il fiore fiore del progressismo illuminato: Roccella, Quagliariello, l’inevitabile Giovanardi, Gasparri e Malan tra gli altri).

Ma ancor prima tuonavano le reazioni delle gerarchie ecclesiastiche. Dal simpatico folklore del parroco molisano che ha suonato le campane a lutto e ha affisso manifesti funebri in memoria del matrimonio e della famiglia (situazioni che vive proprio di persona, un parroco) al trasudante amor cristiano del vescovo di Ferrara. Che, con una logica di pongo, accomuna l’omicidio Varani alle unioni civili. Entrambi “espressione incondizionata dei propri istinti e dei propri desideri, a cui questa società si dispone a concedere ogni riconoscimento civile e giuridico”. Oh, abbiamo depenalizzato l’omicidio e non me n’ero accorta. Saranno contente anche parecchie famiglie “tradizionali”, allora.

D’altronde non è andato in porto il progetto di Bagnasco , che aveva chiesto a gran voce di imporre il voto segreto e invece si è ritrovato con l’esecutivo che ha posto la fiducia. Confortante comunque sapere che, casomai ci venissero a mancare esperti di dinamiche parlamentari, possiamo sempre contare sui cardinali. Anche Galantino, prima ancora del voto, ha sprizzato umana comprensione da ogni poro: “Una sconfitta per tutti”. Ma forse invece che da capo della Cei parlava da famiglia arcobaleno.

Consoliamoci, comunque. Per non stravolgere una qual certa immagine patinata e soprattutto per riprendere saldamente i titoli di testa, con annuncio shock e rullo di tamburi la Chiesa apre alle donne. Qualche segnale importantissimo c’era in effetti già stato. Parallelamente infatti alla “carta bianca” che Bergoglio avrebbe dato al portavoce del Familiare Day, il buon Massimo Gandolfini nella “lotta ai gay” (fa pure rima), una rivoluzione avveniva nella carta stampata.

Il quotidiano della Sede, L’Osservatore Romano, trasformava infatti il suo inserto femminile “Donne, Chiesa, mondo”. Non solo con una nuova veste grafica ma anche con un “potenziamento di pagine notevole, da quattro a quaranta, tutte a colori”. Come ha entusiasticamente commentato Lucetta Scaraffia, coordinatrice dell’inserto. Che parla anche di piena valorizzazione del ruolo della donna all’interno della Chiesa cattolica, “via dagli ultimi banchi”.

Wow. Trentasei pagine in più e già impallidiscono un passato e un presente che sembrerebbero dire altro. E quindi ecco lo scoop del giorno, “le donne nella chiesa potrebbero sposare e battezzare”, leggo nella veloce e preziosissima rassegna stampa che mi offre il bar di fiducia.

Poi, a ben vedere, la gran notizia è che Bergoglio prevede di istituire una commissione che approfondisca la questione del diaconato femminile nella chiesa primitiva e ne studi la possibile applicazione come risorsa per il presente. Insomma, per ora non se ne parla. Anzi, si dice piuttosto sia un mandato per il suo successore.

In ogni caso l’accesso delle donne al diaconato, fermo restando tutto il resto (e su tutto il resto si potrebbero scrivere, e si sono scritti, volumi) più che una promozione sul campo sembrerebbe un tentativo di supplire alla ormai conclamata carenza di risorse disponibili, soprattutto se di sesso maschile. A ogni modo, al di là delle tempistiche da calende greche (“possibilità per oggi” mica tanto, insomma), ci rassicurano gli stessi cardinali che tanto non se ne farà niente.

Ma comunque è bastato per riavere appieno l’attenzione osannante dei media e sentire di nuovo parlare di aperture, rinnovamento, accettazione dell’altro. Sempre che l’altro sia formalmente probo, uomo e ovviamente etero. In ogni caso ci penserà la nostra classe politica a mettere in pratica gli anatemi già lanciati e a ostacolare l’attuazione e soprattutto il miglioramento di questa freschissima normativa che qualcosa, comunque e finalmente, migliora. Ma non tutto e non abbastanza.

Se è vero che si giura sulla Costituzione e non sul Vangelo, se è possibile essere cattolici nel privato e laici nella funzione pubblica, allora è il momento buono per ricordare come esista un articolo 3 che ci vede tutti, ma proprio tutti, uguali.

Adele Orioli

Articolo pubblicato sul blog di MicroMega il 15 maggio 2016.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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