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Deutsche Bank, la malata globale. Che riuscirà a curarsi

Un paio di anni addietro ho scritto un post, sulla pluriennale e persistente crisi di Deutsche Bank. In quel post esprimevo l’opinione che la banca tedesca si sarebbe tratta d’impaccio, pur se al termine di un processo molto complicato ed altrettanto doloroso. Da allora sono cambiati i vertici aziendali ed i business plan sono stati continuamente riscritti ed aggiornati, senza apprezzabili risultati. Ora (forse) siamo alla svolta.

 

La banca ha annunciato l’uscita dalle operazioni globali di trading e vendita di azioni. La chiusura colpirà soprattutto le piazze di Londra e New York. Dagli Stati Uniti, Deutsche Bank ha tentato l’assalto al cielo, un ventennio addietro, e dagli Stati Uniti inizia la sua ritirata globale.

Il piano prevede anche la creazione di una bad bank, a cui saranno conferiti 74 miliardi di euro di attivi ponderati per il rischio, equivalenti a 280 miliardi di posizione a leva. Questa operazione determinerà un minore fabbisogno di capitale di vigilanza, che sarà liberato e consentirà quindi di contribuire ad autofinanziare la ristrutturazione. Prevista la cancellazione del dividendo per il 2019 e 2020. Quest’anno la banca si assumerà oneri di ristrutturazione per 5,1 miliardi di euro.

L’idea è quella di potenziare la divisione corporate, a servizio delle tesorerie aziendali, soprattutto di aziende globali. Buona idea ma che dovrà essere testata sulle reazioni dei clienti, attuali e prospettici. Obiettivo è anche quello di domare la proliferazione di strutture che si parlano poco e nulla, con gravissime carenze di risk management e antiriciclaggio, che negli ultimi anni sono costate alla banca miliardi per scandali globali.

L’altra grande area di business resta il retail banking tedesco, che già di suo ha grossi problemi, visto che è fortemente segmentato da una molteplicità di assetti proprietari, dove pesano molto quelli cooperativi e pubblici, e che ha un rapporto tra costi e ricavi che ne minaccia l’esistenza. L’occupazione di Deutsche Bank calerà di 18 mila unità nei prossimi due anni e mezzo (un quinto del totale), quasi interamente fuori dalla Germania. I risparmi di costi sono previsti nell’ordine del 25% annuo.

Ovviamente, non è detto che l’operazione riesca: innumerevoli piani industriali della banca sono miseramente falliti negli ultimi anni. Ma di certo questo è il tentativo che ha maggiori possibilità e probabilità di riuscire.

Parliamo di Deutsche Bank sia per la sua rilevanza sistemica, sia perché da almeno otto anni la banca tedesca è diventata l’ossessione di molti italiani. Tutto iniziò con la famosa vendita di una manciata di miliardi di Btp nel giro di un semestre, nel 2011, che “qualcuno” in Italia credette fosse la radice della crisi dello spread ai tempi del governo Berlusconi. Ma solo dopo aver capito (si fa per dire) la differenza tra Bundesbank e Deutsche Bank.

Un florilegio di psicopatologie vittimistiche e cospirazionistiche, con annessa azione della nostra patriottica magistratura, schiantatasi sugli scogli della logica, da noi è servito soprattutto a costruire carriere di arruffapopolo e saltimbanchi della cosiddetta informazione. Il trascorrere degli anni non ha attenuato il perfetto ruolo di DB come oggetto dell’ossessione italiana.

Si cita DB per il peso dei suoi titoli strutturati ed illiquidi, che avrebbero quindi richiesto “ben altro occhio” da parte della vigilanza bancaria europea. L’idea, molto italiana, non era quella della dura lex sed lex bensì quella del solito do ut des, del tipo “ehi, Deutsche Bank ha casini, non potremmo chiudere un occhio o anche due sulle sofferenze delle banche italiane?”. Il solito suk mediterraneo tricolore, in pratica. Ed anche su questo, si sono costruite carriere di guitti ed editorialisti di sistema.

In pratica, Deutsche Bank è diventata la pietra di paragone e l’oggetto di scambio (immaginario) di tutti i casini del sistema bancario italiano. Nel frattempo, la politica tedesca è stata costretta ad interessarsi di Deutsche e Commerzbank, l’altra grande malata, che è partecipata pubblica da una precedente crisi. E anche lì, gli italiani hanno preso a schiumare, denunciando distorsioni alla concorrenza ed aiuti pubblici illegittimi, in realtà chiedendone per noi. Anche qui, prestigiose carriere di sugheri italiani, più idonei al ruolo di speaker che di operatore dell’informazione, sono state consolidate.

 

Ad oggi, per Deutsche Bank, non sono ancora stati spesi soldi pubblici tedeschi. Ma è utile ricordare per l’ennesima volta che, se ciò dovesse accadere, in base alle norme sul bail-in e soprattutto alla scelta del governo tedesco di rendere sacrificabili le obbligazioni senior delle banche, saranno i risparmiatori a pagarne il costo maggiore. Inoltre, contrariamente a quanto credono gli italiani, sempre molto attivamente disinformati, in Germania non c’è affatto appetito per un salvataggio pubblico di Deutsche Bank.

Mentre attendiamo di verificare se il tentativo di DB riuscirà, ai nostri straccioni malati di Schadenfreude sono rimasti i lazzi sulla assai imperfetta banca dei “perfettini” tedeschi. Nel frattempo, i contribuenti italiani si sono visti mettere sul groppone il salvataggio di Monte dei Paschi(anche questo in qualche modo colpa di DB, che per “qualcuno” era guidata da Jens Weidmann), la risoluzione delle due banche venete e (con alta probabilità) l’operazione Carige. Ma non è finita qui, tranquilli.

A puntello del catastrofismo sui derivati “tossici” di Deutsche Bank, gli italiani potranno poi continuare ad avvalersi delle stronzate lanciate da un sito di propaganda filorussa presente negli Stati Uniti (quello che dalla sua nascita, un decennio addietro, “chiama” il top del mercato azionario prima del suo crollo devastante), che da noi molti “addetti ai lavori” finanziari (spesso degli autentici sfigati che cercano disperatamente di distrarsi dalla loro miserrima condizione professionale) hanno elevato a loro personale bibbia. Eppure non sarebbe difficile da capire. O no?

Continua. E ve ne daremo conto. Per il momento, le torri gemelle di Francoforte sono ancora in piedi

Foto: Thomas Wolf/Wikimedia
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Questo articolo è stato pubblicato qui

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