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Delocalizzazione o decrescita? Il caso Omsa

I ricordi più indelebili sono spesso frazioni di sguardi, talvolta di sconosciuti. Lo sguardo dell’unico lavoratore uomo coinvolto nella performance teatrale OMSA insieme alle sue colleghe, mi ha irrimediabilmente perforato il cuore.

Giugno dello scorso anno, Punto G, l’incontro organizzato da Marea a Genova. Alla fine di un dibattito usciamo nel sole accecante a due passi dal mare, e un fischio penetrante ci sorprende: “OMSA, OMSA, OMSA, OMSA” ritmano le lavoratrici addestrate dal Teatro Due Mondi per sensibilizzare la gente al dramma del loro prossimo licenziamento. La performance è degna del migliore teatro.

Il video non può rendere l’emozione che suscita: queste donne, operaie per decenni, non lasciano nulla d’intentato e si ritrovano a girare l’Italia in una tournée di dolore.
 
E un uomo, unico tra le sue compagne, che marcia nella sua divisa circense, passo stanco e sguardo basso. Fossi stata artista, oh lo fossi stata! Per tratteggiare, disegnare, riprendere quelle spalle curve, quello sguardo domato, quell’ultimo tentativo di uomo di fabbrica che si trova a 50 anni ad essere attore del suo personalissimo dramma. Domato dalla vita che lo costringe a mettere in scena la sua vita. Questo no, non l’aveva previsto.
 
Lì nel sole accecante, noi in abiti estivi, loro sudati a mimare la vergogna del perdere il lavoro dopo una vita. Questo il dramma di centinaia di persone. I fatti sono invece più prosaicamente i seguenti:
 
L’Omsa, calzificio che produce marchi di successo come Golden Lady, decide di licenziare centinaia di operaie per delocalizzare la produzione in Serbia. Non chiude dunque per difficoltà economico/finanziarie ma per diminuire i costi. Di questo viene accusata.

La Serbia è un Paese che incentiva fortemente gli investitori stranieri con detassazioni e incentivi di varia natura. Gli stipendi sono di circa 6000 euro annui. Molte altre aziende italiane si sono già trasferite. L’azienda viene accusata per la sua decisione di volere lasciare a casa centinaia di lavoratrici senza un motivo se non quella di volere arricchirsi a dismisura.

Il proprietario risponde che la delocalizzazione è l’unica strada, pena la non competitività di un prodotto che trova una concorrenza del Far East in grado di proporre uguali prodotti ad un prezzo dimezzato. In parole povere: se non delocalizzano, OMSA venderà le calze ad un prezzo troppo alto, e sarà costretta a chiudere. Dunque a licenziare.

Altri sono intervenuti ricordando le responsabilità della Regione, che non incentiva le aziende a restare attraverso politiche adeguate.
 
Qui una sintesi dei fatti.
 
Qui una protesta a cui, se volete, potete aderire.
 
Qui un’altra protesta a cui poter partecipare.

Il discorso però è molto più complesso, gli elementi in gioco sono molti e le connessioni con economia, politica, finanza e globalizzazione sono tanti.
 
Prendere posizione significa capire e informarsi molto piu di quanto non si facesse un tempo. I costi di produzione europei sono troppo alti per resistere ad una competizione cinese che ha costi di manodopera bassissimi. Non delocalizzare significa spesso dovere chiudere.

A questo si aggiunge che proveniamo da un periodo di liberismo sfrenato che ha garantito spesso guadagni elevati agli imprenditori: bisognerà accettare che il futuro potrebbe volere dire stipendi più bassi per i lavoratori ma soprattuto meno profitti per gli imprenditori.

C’è poi la leva del protezionismo locale: in un negozio milanese mi ha colpito un cartello: ”Le nostre scarpe sono artigianali, costano un po' di più, ma comprandole ci sostenete e avrete acquistato un prodotto che durerà nel tempo”. Bravi, ho pensato e ho comperato un paio di stivali con un ottimo rapporto qualità prezzo. Più cari di un paio di stivali fatti in Corea però.
 
Sostenere l’economia italiana vuol dire non comperare nelle catene che vendono prodotti far east. Ci piace comperare i vestitini di H&M che costano 20 euro e fanno un figurone? E allora se siamo coerenti non possiamo andare in manifestazione con le lavoratrici Omsa.
 
Sostenere l’economia italiana significa sostenere i prodotti italiani che sono più cari anche, non solo ma anche, perché hanno costi di produzione piu alti. Sarebbe interessante durante una manifestazione a sostegno dei lavoratori di fabbrica chiedere all’altoparlante: ”chi indossa abiti cinesi? " Il paradosso sarebbe tangibile.
 
Decrescita felice: ne abbiamo già parlato. Tutte noi abbiamo spesso più calze di quante ne abbisogniamo. Decresciamo felicemente? Quindi le operaie dell’Omsa verrebbero comunque licenziate, non per delocalizzazione ma per la nostra decisone di non acquistare.
 
La decrescita a mio parere è forse l’unica via ad un futuro sostenibile. Che sia felice lo dubito. Che richieda molto tempo è sicuro. Che debba essere sostenuta da dei piani di riconversione industriale è certo. In parole semplici dovremo accordare tutte le parti sul riconvertire la produzione ad esempio di milioni di calze inutili in servizi utili. Ci vogliono anni. E’ un cambiamento epocale.

Praticare cittadinanza attiva oggi vuol dire cercare di comprendere le molte sfaccettature che conducono alla verità dei fatti. Soluzioni semplicistiche non aiutano a risolvere i problemi che sono purtroppo spesso di natura complessa.

Commenti all'articolo

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.107) 24 gennaio 2012 18:21
    Damiano Mazzotti

    Tutte cose molto condivisibili, ma ci sono solo due sistemi da parte dell’Italia e dell’Europa per affrontare questi cambiamenti epocali: abbassare le tasse sul lavoro e alzare i controlli di sicurezza e qualità e i dazi sulle merci cinesi ed extra-europee.

    E tutta la frutta e le verdure devono avere indicata la provenienza: noi mettiamo dei controlli rigidi sulle produzioni degli agricoltori europei e italiani e poi importiamo robaccia che mescoliamo insieme alla nostra di migliore qualità e più sicura. Per quanto ne sappiamo l’aglio e la cipolla cinese potrebbero essere contaminate da metalli pesanti...

    Le tasse sul lavoro sono un residuato post-bellico molto pericoloso e le nuove tasse non dovrebbero colpire l’energia, ma i consumi di lusso e la telefonia.

    Le famiglie, i camionisti e tassisti e i rappresentanti sono già colpiti dalla crisi economica e questi geni un po’ troppo attempati sono solo capaci di trovare tasse molto banali pericolose per gli attuali equilibri economici e sociali.
    Se non c’è lavoro in Italia è perchè il lavoro da noi costa troppo e la responsabilità è dei nostri politici e non dei nostri imprenditori.

  • Di (---.---.---.0) 24 gennaio 2012 21:31

    ci sono delle imprecisioni , io conosco bene il settore tessile abbigliamento , tutto e’ dovuto alla esclusiva ricerca di margini sproporzionati.
    in questo momento non si puo fare concorrenza ai costi orientali , ma non e’ il caso OMSA che si trasferisce la produzione solo ed esclusivamente per questione di far fare + margini per i propri azionisti.con visione peraltro non lungimirante ma miope! Infatti chi e’ del mestiere sa che oggi delocalizzare in Est Europa o cina non ha + molto senso la competitivita’ data dal costo manodopera forse avra’ ancora non + di 6 anni poi sara’ svantaggioso , causa aumento costo lavoro, trasporti e costi aggiuntivi...
    Quindi??

    bisogna fare politiche economiche ed industriali come i paesi piu’ forti di noi esempio Francia e Germania ..con normative che dincentivano la delocalizzazione fortissime e anche vere e proprie ritorsioni!!

    Non capisco perche’ una proposta + volte fatta ma chissa perche mai accettata : per fregiarsi del MADE in ITALY
    bisognerebbe garantire che il 70% del prodotto e dei suoi componenti sino fatti in ITALIA , anche sul piano alimentare..
    mi sa che rimarebbe ben poco made in Italy...

    insomma bisogna avere degli imprenditori e una politica seria!!

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