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 Home page > Tribuna Libera > Davanti ai giudici del tribunale mediatico: il caso Martone

Davanti ai giudici del tribunale mediatico: il caso Martone

Antonio Martone, senza essere stato mai indagato, tantomeno imputato, e senza aver ricevuto, proprio per questo, alcun avviso di garanzia nell'ambito dell'inchiesta P3, è stato comunque processato: ma nel mezzo di un'arena mediatica.

Secondo l’articolo 27 della nostra Costituzione,limputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Antonio Martone viceversa, è stato ritenuto colpevole, senza mai essere stato indagato, tantomeno imputato, e soprattutto senza aver mai ricevuto avviso di garanzia.

Ciò per una ragione semplice: Antonio Martone non è stato certo processato in un’aula di giustizia della Repubblica Italiana, ma solamente nel bel mezzo di un’ arroventata arena mediatica.
 
Con buona pace di ogni sacrosanta presunzione di innocenza, i media sono stati, in un primo momento, straordinariamente abili nel far credere che Antonio Martone per aver partecipato per soli 15 minuti ad un pranzo organizzato a casa dellon. Verdini, facesse parte di una pericolosa loggia massonica: la cd. P3. Poi, straordinariamente abili nel rendere evidente che non basta aver servito il Paese con specchiata professionalità in quarantaquattro anni, per evitare ad una slavina di fango di cadere sulla propria reputazione.
 
Ed infine, quando tutto è apparso chiaro, straordinariamente incapaci di nascondere che quel processo mediatico prendeva le mosse da una rappresentazione dei fatti distorta e comunque non veritiera perché, in sostanza, l’unica “colpa” di Antonio Martone era stata quella di essersi trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato.
 
Così, nella ricostruzione giornalistica, 15 minuti per parlare di federalismo fiscale si sono trasformati in una pericolosa cena per condizionare gli organi costituzionali. Poco importa che fuori ci fosse il sole, erano le 3 del pomeriggio. Poco importa che dalle intercettazioni emergesse che la sua partecipazione fosse stata solo fugace, l'importante sono i titoli di giornale e il fango che gli è stato rovesciato addosso. Gli stessi titoli che poi, quando è diventato evidente che era completamente estraneo alle vicende contestate, sono diventati dei minuscoli trafiletti in ultima pagina.
 
E cosi Antonio Martone ha pagato perché, nel nostro Paese, vale senza riserve il famoso adagio secondo cui “la vita, amico, è l’arte dell’incontro”: nessun problema, se si ha la capacità di trovarsi sempre nel posto giusto al momento giusto, un disastro se, per un qualsiasi tranello della sorte, si verifica il contrario.
 
Come quando, nella Napoli degli anni 80, durante la guerra di camorra, per morire era sufficiente essere stato compagno di banco di chi, da grande, sarebbe diventato parte di un clan malavitoso, rincontrarlo dopo anni per puro caso, salutarlo e, nel mentre, essere avvistati dal clan rivale a quello del buon vecchio compagno di banco.
 
Solo per questo, infatti, si sarebbe con non poca probabilità finiti ammazzati. La strategia delle fazioni malavitose era chiara: colpire nemici, amici o anche, semplicemente, lontanissimi conoscenti dei nemici. Nel dubbio - il ragionamento era - tanto valeva colpire tutti perché, per quella via, in ogni caso si sarebbe diffusa la paura.
 
Antonio Martone, insomma, che nell’ambito dell’inchiesta sulla “P3” è stato solo “persona a conoscenza dei fatti”, e che in quanto tale è stato sentito dai giudici una sola volta, non ha mai fatto o tentato di fare interventi sui magistrati della Corte Costituzionale chiamati a decidere del lodo Alfano, né tantomeno su quelli della Cassazione che si sono pronunciati sul caso Mondadori e sul caso Cosentino, non ha mai subito condizionamenti esterni al fine di promuovere in qualità di magistrato interessi di parte, ma è solamente finito nel posto sbagliato al momento sbagliato.
 
Non ha avuto paura quando, secondo il codice d’onore di un galantuomo d’altri tempi, ha deciso di anticipare il pensionamento dalla magistratura, istituzione a lui troppo cara per permettere che potesse subire un risvolto, foss’anche insignificante, da tutta la vicenda. 
 
Non ha avuto paura quando, di fronte agli attacchi della stampa, ha scelto la via del silenzio limitandosi, trascorso un bel po’ di tempo dall’esplosione dell’inchiesta, a creare un blog in cui, di volta in volta, ha evidenziato l’infondatezza delle accuse che gli venivano rivolte, ora dalla politica, ora dalla stampa.

Ma soprattutto, Antonio Martone continua a non aver paura quando, sempre con il silenzio, reagisce alla stampa che continua ad attaccarlo. Anche questa volta per una strana “colpa”: quella di avere un figlio che, per idee e capacità, si è meritato un importante incarico di governo.

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