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Da Castro: via con la vela e un ciao all’Albania

Lunedì ventisette è, finalmente, caratterizzato da una mattinata eccezionale: venticello di tramontana, sul cielo azzurro nemmeno una piccola nube, mare di colore analogo ma con tonalità più intensa, contraddistinto, a sua volta, da un succedersi d’onde appena accennate, soffici e leggere come le chiome di un bimbo.

È ghiotta e propizia, l’occasione, per non sentirmi stimolato a montare sulla barchetta a vela, calata in acqua e armata qualche giorno fa e, però, rimasta agli ormeggi a causa delle sfavorevoli condizioni marine, dietro un libeccio particolarmente sostenuto.

Resa ancor più piacevole l’idea di dirigere all’esterno del porticciolo di Castro la prua della fedele “My three cats”, dalla presenza, eccezionale in questo periodo, di mia figlia col marito e, soprattutto, della mia bionda nipotina Elena, la quale, pur non avendo ancora compiuto i quattro anni, è stata imbarcata a contatto con le vele amaranto già nelle passate stagioni.

Perfettamente liscia la partenza, facile anche il dispiegamento delle vele, sicché, non appena raggiunto il centro della stupenda rada, spento e sollevato il motore, inizia subito l’andatura con la sola azione del vento, carezzevole anch’essa.

In breve, i presenti a bordo, la piccola compresa, sono colpiti dalla caratteristica atmosfera, vivibile, con un piacere unico, nella specialissima situazione determinata dal silenzio assoluto, dallo sciabordio leggero della chiglia sulla superficie liquida e, appena un filo, dal soffio della tramontana.

Intanto, lo scafo scivola quietamente sulla sua traiettoria, è molto bello l’avanzare lento di bolina, in questa mattinata, giacché il piccolo legno, di per sé caratteristico e unico, è praticamente l’unico nell’intero tratto di mare verso sud sino al Capo di S. Maria di Leuca, con l’eccezione di una grossa nave mercantile al largo e molto distante, con meta ovviamente sconosciuta e inimmaginabile.

Insomma, noi diportisti da passeggio sottocosta, ci sentiamo, in certo senso, beneficiari esclusivi di un magnifico immenso palcoscenico, per di più in un habitat naturale che è risaputo essere fra i più affascinanti della Penisola, eccezionalmente avvincente, con la sua costa fatta di sporgenze e rientranze, piccoli promontori, rocce in genere medio alte e alle spalle, a salire nei primi contrafforti delle Serre Salentine, superfici ammontate specialmente da distese d’argentei ulivi.

Va la barca, sfioriamo, come inizio, l’insenatura dell’Argentiera, poi il tratto delle Marine dell’Aia e, quindi, bypassiamo l’incantevole seno Acquaviva, particolarmente caro, al timoniere del legno, perché lì, un po’ tante decine d’anni addietro, ha imparato a nuotare, ha goduto i primi bagni, ha trascorso infinite e spensierate stagioni a divertirsi, con una cortissima lenza, nella pesca tra una pietra e l’altra, facendo incetta di pesciolini color marrone scuro, in dialetto “fuggiuni”, utilizzati in gustose zuppe, col pomodoro e qualche altro oltraggio, per il pranzo o la cena.

Acquaviva, poi la zona Porticelli, e, così procedendo pian piano, in tre quarti d’ora l’arrivo nella zona Serriti, anch’essa familiare, in quanto vi si trovava, ed esiste ancora oggi, sebbene ridimensionato, nella proprietà di zio A., un terreno di nonno Giacomo, con la caratteristica vigna ad alberello dai grappoli neri e dolcissimi.

Ogni anno, era abitudine, anzi un rito cui l’anzidetto avo teneva moltissimo, vendemmiare con un folto gruppo di partecipanti, formato da figlie, figli, generi, nuore, fratelli, sorelle, nipoti, cugini, fidanzati, altri parenti vari, insomma con la presenza di almeno una trentina di persone.

Altro particolare, era preannunciata con largo anticipo la data in cui si doveva procedere al taglio dell’uva, si raggiungeva il Serrito la sera precedente, per consumare direttamente lì una parca cena all’esterno della casetta di pietre, dormire in compagnia su stuoie spartane ai piedi degli alberi, riaprire gli occhi allo spuntare del sole e mettersi immediatamente all’opera.

La barca andrebbe oltre, ma a questo punto, essendo la veleggiata d’esordio del 2012 e dato altresì che il vento, del resto in aderenza alle previsioni meteo, va gradualmente crescendo, si pensa di invertire la rotta e ritornare nel porticciolo di Castro.

È un battesimo stagionale con la vela davvero piacevole, ben riuscito, che rimarrà sicuramente impresso nella mente durante tutta l’estate.

Si è divertita specialmente la giovanissima nipotina, ma anche mia figlia e mio genero hanno goduto, la prima sdraiandosi a prendere il primo vero sole dell’anno, l’altro alternandosi con me al timone e alle manovre.

Bene, così martedì 27. Invece, il giorno successivo, già all’atto dell’apertura della finestra una volta svegli, si appalesa nettamente diverso, l’opposto, triste, grigio, sembra d’essere in pieno autunno anziché alle porte di giugno, il cielo è coperto, non fa freddo ma si ha l’impressione che da un momento all’altro debba piovere, cosa che invece non succede pur permanendo la copertura, in alto, tra il grigio e lo scuro.

Sennonché, cosa strana, nel pomeriggio, mentre chi scrive si va dirigendo, per la consueta quotidiana occhiata allo stato delle piante nel minuscolo orto, verso la sua “marina”, non appena si trova liberamente dirimpetto alla distesa liquida del Canale, è colpito dall’apparizione, anomala per il periodo e il tipo di giornata, dello scenario, sul filo dell’orizzonte, delle montagne dell’Albania, in eccezionale, ottima visibilità, come dire a portata di mano, quasi a toccarle.

Di seguito, avanti d’arrivare alla “marina”, si ferma a salutare un compaesano intento a dare un po’ d’acqua ai propri ortaggi e questi precisa che, nella mattinata, addirittura, la sequenza dei rilievi nel Paese delle Aquile pareva uno spettacolo tridimensionale.

Una bella scena che almeno vale a conferire un tocco di meraviglia e vivacità, se non proprio d’allegria, al grigiore della giornata.

Nota agricola collaterale alla visita all’orto della “Marina ‘u tinente”, il contatto con un altro compaesano, pensionato, dalle mani d’oro per interventi particolari a beneficio delle piante, ad esempio per ciò che riguarda gli innesti.

Purtroppo, nel giardino di Via Premuda, un albero di fico, di varietà pregiata, è venuto meno è dovrà essere sradicato; perciò, si rende opportuno cercare di ottenere lo stesso genere di gustosi frutti con un impianto/innesto su un’altra pianta sempre di fico.

L’esperto amico compirà l’operazione già domani.

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