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Cultura hacker ed ecosistema delle conoscenze all’Internet Festival

Poche considerazionu a conclusione dell’Internet Festival 2013 di Pisa.

A pochi giorni dalla conclusione dell’Internet Festival 2013 voglio fare un resoconto minimale di della mia parziale partecipazione.

Intanto non si può non dar merito alla città di aver creato una grande kermesse internazionale con visitatori provenienti da ogni dove, sia in loco che on-line. L’organizzazione, a bilancio della chiusura, riporta numeri come: 23mila i dispositivi connessi alla rete wi-fi del Festival, più di 1 terabyte di dati transitati; 20 le location impiegate, 200 relatori impegnati in oltre 150 eventi; 100 i giornalisti accreditati; 62 laboratori; 26 panel; 18 keynote speech; 10 presentazioni di libri.

Sul fronte della negatività, invece, bisogna segnalare una bruttissima app la cui lentezza l’ha resa del tutto inutile e su cui, credo, convenga investire più energie in futuro. Mentre il programma cartaceo presentava gli evidenti limiti di progettazione di chi ha pensato quasi esclusivamente alla grafica tanto da saltare qualche evento.

Il mio racconto minimale vuole evidenziare soltanto qualche evento a cui ho partecipato.

Il primo è stata la presentazione di Letizia Sechi de “L’amore è strano” dove, però, uno Sterling un po’ annoiato, parlava di tutto tranne che del suo romanzo.

Il secondo è stato un incontro fuori dalla manifestazione in un’aula universitaria di fronte al dipartimento di matematica. Qui i gruppi Exploit ed eigenLab hanno organizzato una bella presentazione del libro di Alessandro Delfanti, “Biohaker” a cui hanno partecipato anche Salvatore Iaconesi e Oriana Persico con “apericena” finale.

Delfanti ha raccontato di questa nuova visione della ricerca scientifica, dove “nuovo” sta per hacker; una cultura che oggi sta influenzando fortemente l’etica scientifica e in particolare la biomedicina, proprio attraverso l’inclusione di un’etica derivata dal mondo hacker e del software free. Nella società dell’informazione dove la lotta per (l’accesso) l’utilizzo del sapere è fondamentale, la cultura hacker si dimostra fondamentale nel processare una pratica “aperta”.

Esempi di questo tipo so progetti come quello di Craig Venter sul genoma, oppure la messa in rete della sequenza del virus dell’aviaria di Ilaria Capua o la cura open source messa su proprio da Salvatore Iaconesi che oltre a raccontare della sua esperienza, ha suggerito un cambiamento, o capovolgimento, paradigmatico del rapporto con la condizione di “malato”.

Convinzione dei relatori è che l’Open Science, grazie alla rete e alle sue capacità di produzione della conoscenza, sia di fatto la più grossa opportunità per realizzare un sapere alternativo.

Si tratta di un vero e prorpio “ecosistema” che superando le organizzazioni burocratiche (università, sistemi sanitari, grandi organizzazioni internazionali), ancora incapaci di comprendere le potenzialità della rete, attingerà la linfa vitale da tutti gli hub/avanguardie, come ad esempio i biohacker, realizzando una cultura di circolazione digitale e libera delle idee, dei dati e delle ricerche.

Il ragionamento è continuato, un po’ più superficialmente ma con un respiro internazionale, sabato mattina alla Scuola Normale in un panel con Delfanti, Ravi Sundaram, Alex Giordano, Jaromil, Adam Arvidsson, Maitrayee Deka, e Carlo Saverio Iorio.

Il concetto fondamentale che qui è passato è stato quello di “societing”: un’idea d’impresa non più chiusa ma completamente aperta, un vero e proprio network che instaura nuovi e forti legami con il sociale da cui deriva tutto il suo valore. Come, per esempio, il progetto Rural Hub raccontato da Alex Giordano.

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