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Cronache del Tav un secolo dopo

16 novembre 2113. A un secolo esatto dalla grande manifestazione contro il Tav in Val Susa (novembre 2013), viene finalmente inaugurato il tunnel per il passaggio del Treno ad Alta Velocità sotto il Moncenisio. Presenti alla cerimonia ufficiale Enrico Letta, pronipote dell'omonimo premier che tanto fece un secolo prima per dare impulso all'opera, e la ministra Maria Stella Gelmini, discendente di quella Gelmini passata alla storia per la sua passione per i tunnel e i neutrini che ci corrono dentro. Passione trasmessa di generazione in generazione alla Maria Stella di oggi. Per la verità, c'è stato un piccolo fuori programma. Ad un certo punto, la ministra si è messa a urlare dal palco delle autorità che i treni in galleria potranno superare la velocità della luce, ciò che è sembrato eccessivo anche ai più ferventi sostenitori del Tav lì presenti. Si è trattato comunque di un episodio secondario, non riportato dai media e quindi non esistito.

Media che in questi giorni stanno mettendo in secondo piano il leggero ritardo della fine dei lavori: solo 80 anni rispetto al termine previsto. Così come stanno sorvolando sul costo finale, lievitato nei decenni dai preventivati 20 miliardi iniziali agli attuali 2.000 miliardi. Ma questi sono dettagli, denunciati inopportunamente dai valsusini, notoriamente estremisti e nemici del progresso e della civiltà. Quello che conta è che il traforo è finalmente una splendida realtà, prova provata del genio italico e della encomiabile perseveranza dei nostri governanti.

Naturalmente, oltre ai costi dell'opera, vanno contabilizzati i costi del mantenimento dell'ordine in tutta la valle, per fare rispettare i nostri impegni internazionali e per non fare brutta figura con la Francia. Ma proprio in questi giorni si sta smobilitando. Le tre divisioni corazzate di stanza a Susa rientreranno presto alla base e i centomila carabinieri dislocati nella valle per il presidio del territorio verranno spostati in Sicilia. Si tratta infatti di mantenere anche là l'ordine, turbato da chi ancora oggi si oppone alla ricostruzione del Ponte sullo Stretto, dopo i due successivi crolli dovuti ai noti eventi sismici. 

C'è ancora qualche difficoltà, ovviamente. Per il passaggio dei convogli ferroviari bisognerà aspettare che inizino i lavori di scavo sul versante francese. Ancora non è stato dato il primo colpo di piccone, ma i francesi hanno assicurato che ciò avverrà entro la fine della legislatura. Poco male. Nel frattempo si potrà continuare ad avvalersi della preesistente linea ferroviaria Torino Lione, attualmente utilizzata al 20% della capacità.

Poi occorrerà procedere alla ripiantumazione del verde in tutta la valle. Boschi e prati, infatti, sono da tempo spariti a causa dell'uranio e dell'amianto dispersi nell'aria e sul terreno. Sostanze contenute nei materiali di scavo per il cui smaltimento non si erano predisposte apposite discariche, dato che ciò avrebbe aumentato il costo complessivo dell'opera e ritardato i lavori. Altri miliardi da aggiungere al costo complessivo, denunciati dai soliti disfattisti nemici dell'Europa a cui non va mai bene niente e che fanno finta di ignorare che tutto questo rilancerà l'occupazione dei giardinieri e così potremo uscire dalla crisi. Fatto che comunque è previsto entro la fine dell'anno, e di cui già si vedono i primi segni, a patto naturalmente che non venga meno la stabilità politica, ciò che potrebbe innervosire i mercati.

E adesso tutti a Lione, utilizzando il teletrasporto da poco diventato operativo.

 

PS: Naturalmente non andrà a finire così. Il buco di 50 km nella montagna non si farà, sia a causa della esemplare lotta degli abitanti della valle che anche per mancanza di soldi. Conseguenze politiche di tutto questo? Nessuna. Gli italiani dimenticano presto.
 

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