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Coscienza, dove sei andata a finire?

Una volta o, per meglio dire, sino a qualche tempo fa - eravamo abituati a vivere gli eventi eccezionali, quelli che lasciano il segno, con cadenze non proprio ravvicinate, scansioni non a ritmi costanti e neppure frequenti. Ciò, vuoi che ci trovassimo ad essere diretti partecipanti, vuoi semplicemente rivestendo il ruolo di testimoni vicini o lontani.
 
Nella mente e nell’animo, ne registravamo e ne metabolizzavamo la risonanza e gli effetti, attraverso processi fisiologici particolari, le tracce di tali fatti restavano impresse realmente nel nostro interiore, tanto che, a lungo, ci capitava di farne rievocazione, a guisa davvero di passaggi cruciali e indelebili dei nostri ricordi e della nostra stessa esistenza.
 
Oggi, ahinoi, di sconvolgimenti, calamità, sfracelli o catastrofi sensazionali, ne avvengono invece a ripetizione, un giorno si e l’altro pure, in ogni angolo del pianeta.
 
Bella globalizzazione è questa!

Se, ormai, la strada tracciata davanti all’umanità reca più che altro muretti di lutti, ombre di distruzioni, segnali di disdegno della sacralità della vita e di disprezzo dell’esistenza del prossimo, bella conquista ha compiuto la società del terzo millennio!
 
Non importa se i “pupari” che preordinano ciò che accade-da soli o in scellerate congreghe-siano dittatori oppure politici avidi, oppure tiranni assetati di potere, oppure fanatici religiosi o fondamentalisti, v’è da dire che la nostra coscienza non può che rimpiangere certi modelli di ieri.
 
Ma, forse, sbaglio a parlare di coscienza, mi sa proprio che, in seno alla realtà che andiamo attraversando, la componente “coscienza”, già costituente – consciamente o inconsciamente – la base fondante delle manifestazioni e dei comportamenti di ogni essere vivente e pensante, sia andata a farsi benedire, non esista più. Che peccato!
 
Una raffigurazione concreta. Sulla scena di non lontane, luttuose vicende scatenatesi nel tormentato territorio sovietico, ricordo di aver colto due fotogrammi, l’uno agli antipodi dell’altro: il volto, o meglio dire la maschera impenetrabile dell’allora Presidente Putin, nell’atto di rendere omaggio alle vittime e di visitare i feriti della tragedia e, poi, l’immagine del ragazzo, scampato alla carneficina, ma col terrore negli occhi, con indosso, pensate un po’, la maglietta celeste di una squadra di calcio italiana, la Lazio, recante in bella mostra il logo dello sponsor “Cirio”, un marchio che, dalle nostre parti, rievoca altre tragedie, per fortuna non con immolazione di vite umane, ma egualmente molto pesanti, in termini economici e finanziari, per una marea di gente.
 
Conclusione: al giorno d’oggi, dunque, si può restare vittime innocenti ad ogni piè sospinto e in mille modi diversi ed inimmaginabili, ma, soprattutto, la vampa del terrore che attanaglia non promana tanto dai drammi, uno per uno, che si succedono, quanto dal sospetto e dall’aspettativa della loro progressiva escalation, sia come numero, sia come intensità di reiterazione, sia come dimensione.
 
Appaiono solo segni esteriori, non autentici motivi di partecipazione e solidarietà, le iniziative del genere lumini accesi sui davanzali e promozione di messaggini: la seconda operazione, anzi, non si sa nemmeno se finisca con l’indirizzare il modesto singolo apporto degli aderenti davvero alle vittime della sfortuna, o se, invece, non rechi, in parte, vantaggi aggiuntivi ai già ricchissimi gestori del servizio.
 

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