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Cosa (non) abbiamo imparato dalle maxiemergenze italiane

Un confronto sulle ultime maxiemergenze tra medici, infermieri, psicologi, tecnici e soccorritori 118, che operano nei contesti del sistema di Emergenza - Urgenza ospedaliero e territoriale 

PAVIA. La situazione tipo è quella del distributore automatico di bevande. Un dispositivo che trovi a ridosso dei binari di molte stazioni ferroviare della Penisola, quella di Pavia non fa eccezione. Distributori, per carità, di ultima generazione: accettano soldi spicci, banconote, bancomat, carte di credito e hanno un vano per prelevare che neanche il direttore megagalattico quando Fantozzi gli presta la cento lire. Eppure è a Fantozzi (o a Forrest Gump) che pensi quando scende la moneta: "Non sai mai quello che ti capita".

Per carità, l'immagine scelta di fronte agli eventi trattati dal "Pavia Emergency Room Congress (Perc)” è senz'altro banale, ma forse efficace a rappresentare le conclusioni di gran parte degli interventi che si sono alternati sul tema delle maxiemergenze: non esiste un protocollo di intervento univoco e spesso la risposta a situazioni critiche è affidata al buon senso e alla buona volontà delle persone che intervengono, più che a una prassi teorizzata e sperimentata, anche solo a livello di esercitazione.

Un confronto tra medici, infermieri, psicologi, tecnici e soccorritori 118, che operano nei contesti del sistema di Emergenza - Urgenza ospedaliero e territoriale. I relatori si sono alternati nell’approfondire alcuni temi essenziali per affrontare al meglio una maxiemergenza: collaborazione tra professionisti, formazione, ricerca, interazione tra gli enti locali e rapporti tra intra ed extraospedaliero.

Il terremoto dell'Aquila, la strage di Viareggio, gli alluvioni, gli incendi che negli anni hanno devastato boschi nella Penisola, il sisma in Emilia e quello del centro Italia, la valanga di Rigopiano. Esempi di intervento efficace da parte del sistema di protezione civile che, tuttavia, non lasciano indietro un'eredità di buone prassi in termini di prevenzione e di piani operativi.

Così, ad esempio, l'esperienza del terremoto del capoluogo abruzzese, che ha messo in luce le carenze strutturali e organizzative dell'ospedale cittadino, ha costituito per molti addetti ai lavori, un'occasione per mettere a luce la propria disponibilità e le proprie competenze. Un esempio tra tutti, la scelta di mettere all'interno di vetture accese alcuni dei neonati che al momento della scossa si trovavano nell'incubatrice.

"Tuttavia", ha sottolineato nel corso del suo intervento il dottor Federico D'Orazio che era specializzando all'Aquila all'epoca del sisma, "intere aree dell'ospedale versano ancora in situazioni strutturalmente gravi e il pronto soccorso è stato riorganizzato con un assetto identico a quello pre-sisma, potenzialmente in difficoltà in occasione di un'altra maxi-emergenza. Subito dopo il terremoto di Amatrice, ad esempio, molti feriti sono stati trasferiti all'Aquila e questa situazione fu fronteggiata solo grazie alla pronta disponibilità di medici e infermieri che, immediatamente, si misero a disposizione. Però, mancava un piano operativo di coordinamento".

Significativa, in tal senso, sempre restando in Abruzzo, l'esperienza portata in congresso da Alberto Albani, referente sanitario regionale per le emergenze che ha mostrato una serie di esercitazioni utili in varie situazioni di maxiemergenza. Il congresso è stato presieduto da Stefano Perlini, responsabile scientifico Matteo Cosi.

Foto: Pixabay

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