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Corteo a Firenze contro la Buona Scuola: la cultura non è merce!

Corteo cittadino "No Buona Scuola, No Buona Università". Venerdì 13 novebre ore 10:00, partenza Piazza San Marco.

Il termine “cultura” deriva dal verbo latino colere, "coltivare": questa è infatti FRUTTO di millenni di storia durante i quali saperi, opinioni, sperimentazioni, tradizioni ed innovazioni si sono uniti, arricchendo l’umanità di nuove conoscenze.

Tali conoscenze hanno apportato nel corso della storia un miglioramento continuo delle condizioni di vita: è solo grazie alla cultura se oggi abbiamo medici, architetti, filosofi, artisti, ecc. Queste figure sono senza dubbio una potenziale risorsa per tutti. Proprio come una pianta, la cultura, se innaffiata e curata, regala frutti eccezionali.

Tuttavia questa ricchezza di inestimabile valore, sempre più spesso, viene ridotta al rango di merce.
E così solo chi può permettersela, chi può comprarsela, chi se la “merita”, ha accesso, tramite l’istruzione, alla cultura. Si arriva all’assurdo risultato che per fare il medico, l’architetto (ma anche solo per interpretare la realtà, per non farsi fregare, per conoscere il proprio passato e quindi il proprio presente) o qualunque altro lavoro indispensabile all’intera società, oltre che a dedicare anni della propria vita allo studio, si deve anche pagare. Non abbiamo forse bisogno di queste figure? Non sono una ricchezza? Vorrebbero farci credere che la cultura non sia una risorsa al servizio della società ma una merce ad uso e consumo degli interessi individuali.

Ma se si vuole vendere la cultura come merce, questa deve essere accattivante, deve convincere le persone ad investirci il proprio denaro, deve poter essere scambiata con altre cose: un posto di lavoro, ad esempio. E così il concetto di “conoscenze” viene sostituito da quello di “competenze”. Non importa sapere , importa saper fare. “Meglio così!” Direte voi.. Ma andando un attimo più a fondo, risulta evidente che fare una cosa senza capirla ci priva della capacità di stimarne l’importanza. (Non solo: non si può fare una cosa senza capirla. Anche l’esperienza pratica, per essere assorbita, messa a frutto e di volta in volta superata, ha bisogno di un momento di rielaborazione critica che i ritmi frenetici imposti dall’azienda – e dal modello aziendalistico che si vorrebbe applicare all’istruzione pubblica – non consentono)
E perché allora ci fanno fare ciò? Perché se da un lato c’è bisogno di lavorare per vivere, dall’altro chi controlla i mezzi di produzione vuole lavoratori che non si facciano domande e che non prendano coscienza del proprio ruolo nella società. Se ciò avvenisse, infatti, i lavoratori potrebbero avanzare rivendicazioni rendendosi conto che la società sta in piedi grazie al frutto del loro lavoro.

Vengono così eliminati tutti quei percorsi di studio “non produttivi”, tutti gli spazi di approfondimento e di discussione. Si riduce lo studio ad un mero sapere sterile e nozionistico. I padroni “investono fondi nella cultura” proprio per ottenere questo!

Non a caso l’ultimo passo è l’inserimento dello studente nel mondo del lavoro tramite tirocini e stages non retribuiti: lavorare gratis si trasforma magicamente in un ottimo metodo per imparare. Gli studenti pagano per lavorare gratis mentre chi li sfrutta fa profitto! Soprattutto, la riforma decuplica letteralmente le ore di stages. Fra tre anni saranno 150 mln, cioè vuol dire che le aziende invece di assumere 100.000 lavoratori, potranno avvalersi di 100.000 stagisti obbligati dalle scuole a lavorare GRATIS.

Tutto questo è il risultato delle riforme che si sono susseguite negli ultimi anni per mano dei governi di centro destra e centro sinistra, le ultime delle quali sono proprio la Buona Scuola e la Buona Università del governo Renzi. La cultura, da potenziale ricchezza per tutti, è diventata una merce che paghiamo noi ma che porta vantaggio ad altri (i padroni, ovviamente).

Di fronte a questa follia c’è chi però ha scelto di resistere: scendiamo in piazza il 13 Novembre contro l’asservimento della cultura al profitto, contro la Buona Scuola e la Buona Università, per un’istruzione

Questo articolo è stato pubblicato qui

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