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Coronavirus, la crisi dell’europeismo e il coraggio cinese

Con piacere vi riproponiamo questo articolo di Giusi Greta Di Cristina, analista amica del nostro progetto, apparso sulla testata torinese “Nuova Società” e riguardante la differenza tra le risposte di Europa e Cina all’emergenza coronavirus.

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Quel che sta accadendo in questi giorni, dinnanzi all’avanzata in Italia degli effetti dell’influenza da Covid-19 ha ormai superato i primi livelli, occupati ragionevolmente da insicurezze e paure, per lasciare spazio ad evidenti risacche politiche, economiche e, infine, ideologiche.

Il termine ideologia, messo al bando dal post Mani Pulite in Italia, ma saggiamente mai scalfito altrove, ha incredibilmente e inaspettatamente preso il passo nella discussione odierna in Italia fino ad accompagnare ogni riflessione rispetto all’evoluzione stessa della vicenda “virus”.

Durante le ultime concitate settimane il nostro Paese è stato colpito violentemente dal contagio: è aumentato in forma esponenziale il numero dei contagiati e anche quello dei malati, per lo più di fascia d’età alta a cui si è unito qualche soggetto giovane. Abbiamo visto la fuga di massa domenica scorsa, dopo che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte aveva annunciato le restrizioni formali e il passaggio di alcune regioni a “zona rossa”: scene apocalittiche si sono registrate presso la stazione di Milano, dove migliaia di persone si sono riversate a comprare di corsa biglietti per tornare al sud dalla famiglie di origine. A nulla è valso il richiamo alla responsabilità e all’attenzione nei confronti proprio per le famiglie e residenti nelle regioni del Meridione d’Italia, che avrebbero potuto evitare l’escalation delle infezioni alle quali, purtroppo, stiamo assistendo. L’individualismo più sfrenato, insomma, come cifra autentica del momento.

L’Italia, al contrario di altri Paesi europei, si è caricata della responsabilità di agire, sebbene in ritardo e con ritrosia. Una ritrosia dovuta essenzialmente alla spinta della finanza e dei mercati, che mettono i soldi davanti del diritto alla salute. Anche in questo momento con l’intera nazione dichiarata zona rossa, non tutti i lavoratori possono rimanere a casa: molti sono stati già dichiarati in cassa integrazione, altri continuano a lavorare poiché lo Stato non ha garantito coperture economiche e rischiano di perdere il posto di lavoro.

È inevitabile che i destini economici dei cittadini interferiscano e si intersechino in una spirale disastrosa in un Paese che è totalmente dipendente dalle scelte comunitarie. E possiamo affermare che, a questo giro di boa, di Unione in questa Europa non ne abbiamo vista, anzi più sola di così l’Italia non è mai stata.

L’Unione Europea si è girata dall’altra parte, limitandosi a proclami di vicinanza e solidarietà, ma nessuna azione di emergenza reale è stata messa in campo: Ursula von der Leyen, la cui investitura a presidente della Commissione Europea ha siglato la nascita dell’asse politico Pd-M5S, ha fatto seguire a un video in italiano in cui esprime vicinanza e preoccupazione da parte di tutta l’Ue la decisione che l’Italia potesse riprendere le sue quote destinate ai Fondi Strutturali, ovviamente da rimpolpare in seguito, ad emergenza terminata.

Ma peggio ancora di von der Leyen ha fatto Christine Lagarde, presidente della BCE. Durante una intervista di due giorni fa un giornalista ha rivolto a Lagarde due quesiti, uno sulla possibilità di aiutare le banche a concedere prestiti attraverso disposizioni di sistemi di garanzia nazionali od europei, l’altro su quello che potrebbe fare la BCE dinnanzi a una impennata dello spread nei confronti di quei Paesi duramente colpiti dalla pandemia COVID-19, come l’Italia.

Per quel che concerne il primo quesito la presidente Lagarde ha così risposto: “ […] Voglio dire, è così che crediamo che i finanziamenti che stiamo mettendo in atto saranno i più efficienti. Ora, se ciò viene condotto a livello nazionale o a livello europeo, spetta ai responsabili politici decidere. Ciò che conta per noi è che venga messo in atto il prima possibile. Alcuni paesi hanno già preso provvedimenti o stanno muovendo passi in questa direzione. Sicuramente, per gli sforzi che ci stiamo impegnando a fare, spero certamente che lo facciano in fretta per garantire che il credito continui a fluire verso l’economia.”.

Rispetto alla seconda domanda, la presidente della BCE ha invece così risposto: “Il mio punto numero 2 ha a che fare più con un aumento dell’emissione di debiti a seconda dell’espansione fiscale che verrà determinata dai politici. Bene, saremo lì, come ho detto prima, usando la massima flessibilità, ma non siamo qui per chiudere gli spread. Questa non è la funzione o la missione della BCE. Ci sono altri strumenti per questo, e ci sono altri attori che si occupano di affrontare questi problemi”.

Insomma, tranquilli cittadini europei: per le banche faremo tutto quello che è necessario, auspicando il sostegno in questa operazione dei governi nazionali. Per i Paesi colpiti dal Coronavirus, al contrario non tocca alla BCE promuovere sostegno e prendersi la responsabilità di tenere sotto controllo la situazione per non lasciare che la borsa e la finanza facciano affari sulla pelle dei governi e dei cittadini sottoposti alla dura prova della pandemia.

A questa che è stata definita “una brutta prova di comunicazione” l’Italia ha tuonato indignata e non per bocca di personaggi dai quali ce lo si potrebbe pure aspettare – per ideologia, come Marco Rizzo – segretario generale del Partito Comunista che da sempre denuncia la falsa retorica di una unità europea mai esistita – o per opportunismo, come Matteo Salvini o Giorgia Meloni, che in questa Europa ci sguazzano eccome. Chi ha tuonato contro Lagarde è stato addirittura il presidente della Repubblica Mattarella, al quale sono seguiti rimproveri un po’ da tutti quelli che fino a ieri si sono sempre proclamati europeisti convinti, senza se e senza ma. La vicenda ha lasciato l’amaro in bocca ai membri nazionali del Pd che tentavano di giustificare il silenzio dell’Ue richiamando l’attenzione alla necessità di una Europa più presente nelle problematiche nazionali. È vero che dinnanzi alla eco causata da questa “impropria” affermazione della Lagarde l’Ue ha dovuto correre ai ripari assicurando all’Italia di allentare i vincoli del Patto di stabilità. Come dire, un contentino per spegnere il fuoco delle polemiche. Ma in verità l’Italia non è nuova a questo tipo di restrizioni né si può rimanere sconvolti dinnanzi alle affermazioni di Lagarde, frutto dell’attuale indirizzo politico ed economico dello strumento BCE e dell’intera Ue.

In queste lunghe settimane travagliate per il nostro Paese, in cui si è passati da un primo momento di misconoscimento del problema al riconoscimento e all’attuazione delle misure stringenti degli ultimi giorni, si è vissuto dentro un incubo, che in parte sta continuando probabilmente, ma di certo una qualche consapevolezza è venuta fuori. Tra queste la più forte e oramai non più occultabile è la sensazione di essere soli in mezzo a tanti che si dichiarano alleati ma che sono scomparsi davanti ad una difficoltà incredibilmente grande, difficile da affrontare e incerta negli sviluppi. Il Coronavirus è stato il banco di prova per una tenuta dei rapporti politici dentro l’Unione Europea che, ancora una volta, ha preferito sacrificarli sull’altare dei rapporti economici, anche questi a senso unico e sordi alle necessità di cittadini europei in trincea. Quantomeno di cittadini italiani in difficoltà. Va da sé che ci si chieda cosa accadrà quando Paesi più forti dovranno affrontare la medesima crisi. La Germania ha già dichiarato di voler mettere sul banco 550 miliardi per sostenere il Paese nell’immediato e nel futuro e le esperienze precedenti ci portano ad affermare con una certa tranquillità che la Germania potrà farlo senza che BCE o altri organismi frenino. Per l’Italia, al contrario, il Fondo Monetario Internazionale ha già sentenziato che serviranno cifre da capogiro che, ça va sans dire, dovrà essere lo Stato italiano a sborsare. Tradotto: i portafogli dei cittadini.

È colpevole il silenzio degli ultrà europeisti e dei liberisti duri e puri (su questi il più feroce Più Europa di Emma Bonino) che arrancano nel trovare risposte funzionali a una rabbia sociale nei confronti dell’Ue che in queste ultime ore è divenuta sempre più massiccia. Dopo il crollo delle Borse, persino da un giornale come Milano Finanza sono partiti stracci contro questa Unione Europea, con un articolo che non lasciava spazio all’immaginazione già dal titolo: È la fine di Maastricht, con buona pace dei burocrati, così intitola Roberto Sommella. L’articolo chiude con una sentenza“ […] Oggi, 12 marzo 2020, è morto il Trattato di Maastricht, ucciso da quei burocrati che lo hanno scritto, immemori dell’insegnamento dei padri della patria europea: la strada è difficile e lunga ma va intrapresa. Oggi siamo tutti meno europei e più italiani, da oggi la storia d’Europa forse cambia definitivamente con il ritorno delle piccole patrie. Ognun per sé. Tanti auguri Bruxelles, puoi anche chiudere i battenti”. Parole che finora avevamo ascoltato solo fra i comunisti e in qualche partito di sinistra non ancora accordato al liberismo.

È innegabile il ruolo della Cina nella percezione comune.

Il gigante asiatico è stato deriso e i cittadini cinesi trattati come degli untori. Almeno fino a quando l’attenzione non è passata alla capacità dei cinesi di affrontare quella che il loro presidente, Xi Jinping, ha affermato essere la più grave crisi sanitaria dal 1949: con una tenacia alla quale in Occidente si è disabituati, il governo cinese ha isolato la zona da cui il contagio era partito, instaurato una quarantena durissima, costruito in meno di due settimane più di dieci ospedali per rispondere all’urgenza, licenziato i responsabili del ritardo nella trasmissione della notizia.

A tal proposito molto si è detto. Noi riteniamo di dover precisare che il governo cinese ha denunciato la presenza del virus pubblicamente a fine dicembre: non sarebbe inverosimile scoprire che l’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, di certo non propriamente filocinese, abbia conosciuto da prima il problema e neppure riteniamo improbabile che si sia inizialmente taciuto perché non si era compresa immediatamente la pericolosità. Dunque, la caccia all’untore e gli sproloqui contro la Cina sono stati esagerati e spinti da chi voleva colpire il popolo cinese anche da un punto di vista politico ed economico. Piuttosto i Paesi occidentali hanno preferito di gran lunga deridere le misure del Paese comunista, della “dittatura” cinese: si è arrivati persino ad affermare che il virus fosse esso stesso prodotto di una dittatura.

Ma la Storia talvolta rimette a posto le cose in tempi più brevi del previsto. Ed ecco che la quarantena, l’abnegazione dei cittadini cinesi al rispetto delle regole hanno dato i loro frutti positivi e ad oggi tutti gli ospedali speciali costruiti per far fronte all’emergenza sono stati chiusi e migliaia di persone guarite.

Una Cina piegata, certo. Ma che non si spezza.

Un Paese che come primo passo ad emergenza non ancora terminata decide di mandare una propria equipe medica che ha sconfitto il virus in patria proprio in Italia, a sostegno dei nostri medici. E lo fa con un carico di migliaia di mascherine, di ventilatori polmonari e altri strumenti necessari di cui non siamo più provvisti perché terminati. È vero: i materiali medici non ci sono stati regalati ma dati con promessa di pagamento appena possibile e senza alcun onere di interessi. A differenza, comunque, di quei Paesi ai quali è stato chiesto aiuto e che hanno voltato le spalle all’Italia come se non si fosse davanti a una situazione fuori dall’ordinario.

Gli ultrà dell’europeismo, i liberisti duri e puri e i filo-atlantisti poi stanno spendendo fiumi e fiumi di inchiostro per mettere in guardia i cittadini italiani di fronte a un possibile tentativo di “conquista” da parte della Cina: quello che fanno, dicono, lo fanno solo per avanzare, dare una spallata agli Usa e “farci entrare” nel progetto della Nuova Via della Seta. La verità è che a questi signori non è mai andata giù la firma del Memorandum d’Intesa firmato dall’Italia con la Cina lo scorso anno che fa entrare il nostro Paese, unico in Europa, nella Belt and Road Initiative, la Nuova Via della Seta appunto. I rigurgiti dell’amministrazione trumpiana e dei suoi fans ci sono tutti in questi sproloqui, che vedono coinvolti molti dei politici nostrani, dall’area conservatrice della destra meloniana e salviniana all’area liberal democratica della Bonino e di Renzi.

Altri partiti, sia dentro che fuori il Parlamento, risultano spaccati sul giudizio sulla Cina in sé ma anche, e magari soprattutto, dal portato principale che la potenza cinese rappresenta, ovvero il suo modello politico.

Accanto alla Cina si è proposta di intervenire anche Cuba, attraverso l’intervento dei suoi medici specializzati e l’uso del farmaco Interferone alfa 2b che sta funzionando nella cura del coronavirus. Addirittura la Regione Lombardia ha chiesto ufficialmente l’intervento presso i propri ospedali delle equipe mediche cinesi, cubane e venezuelane che hanno offerto da tempo disponibilità. Urge ricordare che per il nostro alleato storico, gli Usa, Cuba e Venezuela sono considerati Stati canaglia, che l’UE sotto il ricatto Usa partecipa attivamente alle sanzioni contro il Venezuela, causando il maggior danno possibile al popolo e che non si è mai decisa a interrompere il bloqueo contro Cuba, che da sessant’anni costituisce il più grande caso dei genocidi economici nei confronti di un Paese. Questi tre Paesi non hanno mai invaso nessun popolo, non hanno mai esportato il loro modello da nessuna parte e ora dimostrano, al netto di tutto, una superiorità etica e morale che deve farci solo riflettere.

Deve risultare insopportabile per alcuni l’idea che due paesi socialisti e comunisti possano aiutare e stiano difatti aiutando delle democrazie liberali assolutamente inermi dinnanzi a una minaccia sanitaria mondiale.

La Cina e i suoi mille volti, verrebbe da dire: per alcuni si tratta di un Paese capitalista che si finge ideologicamente socialista, per altri si tratta, al contrario, di una nazione capitalista con struttura politica leninista. C’è chi invece accusa la Cina di essere una dittatura che non considera i diritti umani. Altri ancora, infine, pur intravedendo alcune falle, esaltano il modello cinese.

Chi scrive non intende qui ed ora stilare un compendio sulla Repubblica Popolare Cinese, un Paese socialista, a partito unico, che basa la sua politica su un socialismo con caratteristiche proprie fortemente influenzate dal confucianesimo: qui si vuole però chiarire alcuni punti essenziali per una corretta interpretazione dei fatti odierni.

E nulla è più lampante della solidarietà e dei segni tangibili di fratellanza che la Cina ci sta in questi giorni dimostrando e molti, moltissimi italiani lo stanno dicendo fuori dai denti. Forse è proprio questo a far paura all’establishment dato che la Cina rappresenta, come si diceva, un differente modello politico ed economico.

Quel differente modello politico che ha come cifra strutturale il senso del bene della comunità sopra il bene dell’individuo, il bene del Paese sul bene del singolo, del lottare insieme per salvarsi tutti. E quel differente modello politico, tendente al multipolarismo fuori ma in difesa della propria sovranità nazionale e dell’indipendenza economica, che ha permesso alla Cina di stanziare una cifra enorme per fermare tutte le attività lavorative senza doversi preoccupare di cassa integrazione o, peggio, futuri disoccupati. Un modello economico che consente alla Repubblica Cinese di poter contare su una propria banca e non subire la decisione di burocrati stranieri.

Da qualche parte si è ipotizzato la sconfitta della Cina, la fine del trentennio glorioso, la messa in soffitta del multipolarismo. Ci si è spinti fino ad affermare che la medesima globalizzazione dovrà essere ripensata o addirittura potrebbe scomparire dopo la vicenda Covid-19.

Noi rispondiamo non tracciando di certo alcuna certezza, poiché non abbiamo il dono della veggenza, ma data la prova di forza e coesione messa in campo dalla Cina ci sentiamo, al contrario, di affermare che il Paese potrebbe addirittura rafforzarsi in termini di credibilità economica e politica agli occhi dei cittadini del mondo, come sta avvenendo per larga parte in Italia. Allo stesso modo, anche da un punto di vista delle relazioni internazionali, alla data odierna è di certo la Cina ad esser considerata Paese molto più serio e credibile di tante altre democrazie liberali.

Non sarebbe poi così strano pensare che dinnanzi al brutto esempio europeo – dallo scaricabarile dell’Unione alle affermazioni di Boris Johnson che ha candidamente affermato di non voler chiudere nulla e che il popolo inglese dovrà abituarsi alla morte dei propri cari – il popolo italiano possa reclamare la necessità di cambiare, tra le altre cose, anche le alleanze.

La globalizzazione poi è un fenomeno ormai talmente avanzato che pensare ad un suo ripensamento equivale comunque a un ripensamento del tipo di modello economico globale: non crediamo, insomma, ad un capitalismo buono e uno cattivo ed è con questo che bisogna fare i conti, poiché il mondo ha commerciato e continuerà a commerciare ma può cambiare impostazione sistemica. Ed è di certo la battaglia più imponente dopo trent’anni di modello unipolare neoliberista.

E gli Stati Uniti? Immaginiamo Trump sia stato tutt’altro che dispiaciuto dalle difficoltà affrontate dalla Cina almeno fino a quando la realtà ha trascinato gli Usa in uno dei Paesi con più infetti e con la produzione di medicinali al 75% prodotti in Cina. Proprio questo sabato il presidente americano si è dichiarato immensamente preoccupato per questa dipendenza, gravissima in un Paese dove la sanità pubblica è quasi del tutto inesistente. In questo senso, il modello sanitario statunitense, in Italia esaltato dai partiti liberal, è stato praticamente sconfessato da una crisi sanitaria a livello globale: chi fino a ieri esaltava il modello privatistico si è d’embleé riscoperto difensore delle strutture pubbliche e di chi ci lavora.

Suona quasi retorico sottolineare quanto questa riflessione si stia facendo sentire nel nostro Paese.

L’Italia ha riscoperto nel giro di pochissimi giorni il senso della comunità, dell’appartenenza nazionale – che non significa nazionalismo, né sovranismo, ma l’importanza della sovranità. Parole come sanità pubblica, difesa dei comparti statali, aumento degli stipendi del personale ospedaliero sono diventate virali, assieme a un ripensamento generale del ruolo dell’Italia in Europa e nel mondo: un ruolo che possa, finalmente, w. Una Unione, è doveroso ricordare, che nacque proprio difendendo ed esaltando il ruolo dello Stato e la politica sociale, ma che è divenuta infine un centro economico al servizio di banche e finanza, a discapito dei popoli.

Tutti in questi giorni ripetono che nulla sarà più come prima. Sarà solo il tempo a raccontarci se in meglio o in peggio.

Pubblicata originariamente su “Nuova Società”, con cui ci complimentiamo per la qualità dei lavori.

Foto: Quirinale/Wikipedia

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