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Coronavirus: come leggere le variazioni dei positivi?

In Italia si pone molta più enfasi sul numero di casi positivi che sui casi totali. Ma ciò potrebbe dare origine a percezioni distorte…

di Federico Boscaino

Si è discusso a lungo sui dati giornalieri che, alle 18 di ogni giorno, vengono rilasciati dalla Protezione Civile sulla diffusione del contagio da Covid-19. Sin dall’inizio dell’emergenza, una delle particolarità più evidenti è stata quella di comunicare l’incremento dei casi giornalieri sui casi “attualmente positivi” e non sul numero totale (che comprende anche il numero di guariti e deceduti).

La scelta è stata quasi un unicum a livello globale: dalla Cina agli Stati Uniti i numeri comunicati sono basati unicamente sul dato dei casi totali (come comunicato dal CDC – Center for Disease Control and Prevention), seguendo una prassi che trae origine dalla stessa Organizzazione Mondiale della Sanità nei suoi report giornalieri.

Per fare un paragone diretto, possiamo prendere i casi di Spagna e Italia, dove l’emergenza Coronavirus è paragonabile. Nel nostro Paese il dato degli attualmente positivi è il più evidente nel bollettino quotidiano, e viene enfatizzato anche nella conferenza delle 18 e nei comunicati stampa, dove viene usato come titolo e dove viene inserito il dettaglio regionale unicamente per gli attualmente positivi.

Fonte: Protezione civile

Nei dati emessi dal Ministero della Salute spagnolo, invece, il dato principale è quello dei casi totali, con una specifica unicamente sui soggetti ospedalizzati.

Fonte: Ministerio de Sanidad

A prima vista può sembrare una questione di scarso valore e interesse, ma in realtà non è così: in una fase di riduzione dei casi – dove ci auguriamo di essere al momento – questa differenza può portare a distorsioni nella percezione pubblica e nelle valutazioni politiche su una possibile “riapertura”.

Dal grafico seguente si può notare come l’andamento delle due curve – variazione dei casi attivi e variazione dei casi totali – sia identico all’inizio dell’emergenza. Con il passare del tempo, però, le due curve divergono, a causa dell’aumento del numero di guariti e, purtroppo, di decessi. Questo gap è destinato ad aumentare nei prossimi giorni, visto che, come in Cina, il numero di guariti tende ad avere un picco ritardato, corrispondente alle guarigioni dei soggetti che componevano il picco dei casi positivi osservato nell’ultima decade di marzo (sul tema delle guarigioni vi invitiamo a leggere l’analisi di YouTrend e della Fondazione GIMBE).

Fonte: Protezione Civile

Qui nasce il problema: nel giorno in cui ci sarà un aumento di zero unità nel bollettino della Protezione Civile, potremo dichiarare finita l’emergenza? La risposta è ovviamente no, perché in quel momento saremo solamente a metà percorso.

Avere un numero costante di casi attivi, infatti, vuol dire soltanto che il numero di guariti e deceduti bilancia quello dei nuovi infetti. In altre parole, ciò non significherebbe necessariamente che gli ospedali si stanno svuotando, ma indicherebbe una situazione di stasi, dove la pressione sui nosocomi rimarrebbe costante con numeri di ricoverati ben oltre le medie degli anni precedenti, terapie intensive in numero non sufficiente e difficoltà nel curare tutti i pazienti.

Per comprendere il fenomeno si può osservare infatti il grafico sottostante, che distingue tra le due tipologie di ricoverati in ospedale, ossia i ricoverati in terapia intensiva e quelli che, pur essendo sintomatici, stanno negli altri reparti.

Fonte: Protezione Civile

Risulta evidente come la riduzione dei casi di questi giorni non abbia portato, a livello nazionale, a un allentamento della pressione sugli ospedali, ma solo a un appiattimento della curva che indica una riduzione della crescita dei casi.
Ciò viene confermato anche nella Regione più colpita, la Lombardia, dove negli ultimi giorni vi è stata un’evidente riduzione, ma è ancora presente un trend di leggera crescita di ricoverati e solo il 4 aprile vi è stata una riduzione nelle terapie intensive.

Va quindi sottolineato come un primo segnale tangibile di un miglioramento importante della situazione emergenziale sarà costituito da una variazione negativa del numero di positivi, associata, nello specifico, a una riduzione di soggetti ospedalizzati, sia a livello di ricoveri ordinari che di terapie intensive.

Alla luce di quanto detto, seguire la prassi mondiale in materia di conteggio dei nuovi casi potrebbe rendere più facile evitare che si crei una percezione distorta all’interno della popolazione, percezione che potrebbe dare l’idea di un’emergenza ormai in via di risoluzione e legittimare implicitamente l’allentamento delle misure.

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.146) 7 aprile 2020 14:37
    Damiano Mazzotti

    Facendo la premessa che molti test sono abbastanza imprecisi e che vanno ripetuti più volte, consiglio un video che spiega abbastanza bene la cosa. Per una persona la cosa ideale sarebbe quella di risultare positiva al test sierologico sugli anticorpi e negativa al test dei tamponi. Questo significa che la persona è entrata in contatto con il virus e che il suo sistema immunitario ha prodotto gli anticorpi (salvo errori nei vari test che tendono a rilevare anche la presenza di altri coronavirus oltre al nuovo Cov). Per un breve approfondimento: https://www.youtube.com/watch?v=a1E3u9G7-BM

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.146) 7 aprile 2020 14:44
    Damiano Mazzotti

    Tra i commenti del video di Barnard trovate anche questo:

    Pochi considerano pure che, pure tra i medici (e parlo di anche di specialisti non infettivologi), esiste una grande ignoranza sulle malattie infettive medio/gravi: a naso comincio a pensare che, meno gli infettati lievi, vedono gli ospedali meglio è per evitare che si prendano seriamente altre infezioni ospedaliere. Se si devono fare questi controlli incrociati immagino quanto casino capiti al solo apparire di una positività al tampone, la persona viene automaticamente presa come untore dell’umanità (si capisce così la disperazione che ha preso l’infermiera che si è suicidata addirittura prima di avere i risultati dei tamponi). 


    E io aggiungo anche il rischio di avere a che fare con i ceppi più virulenti.

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.146) 7 aprile 2020 14:50
    Damiano Mazzotti

    Poi segnalo un altro commento: Molti confondono tampone e analisi seriologica: Barnard dice c é in errore del 20% nel test sierologico, l’errore del tampone é invece molto più alto, perché ad esempio si é arrivati anche al 70% di falsi positivi in Germania, anche perché avere del materiale genetico del virus in bocca non significa assolutamente essere malati o contagiosi, perché la pcr amplifica il materiale genetico

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.146) 7 aprile 2020 14:59
    Damiano Mazzotti

    Altri due commenti per comprendere a 360 gradi le cose(soggetto LNJ):

    In Germania non fanno i Test. Credetemi, conosco diverse persone con le quali ho più o meno confidenza che essendo io italiana, mi hanno fatto sapere che stavano a casa in malattia, che il medico gli aveva messi in malattia e che gli avrebbe detto di non prendere nessun medicinale, di lasciare fare all’influenza il suo decorso. Alla richiesta di voler fare un test anche all’ufficio igiene: negato. Perché:“ non appartengo alla fascia a rischio, nel dubbio devo restare a casa un paio di giorni“ Tutto ciò, prima che social distance entrasse in atto.

    In Italia, Francesca Massaro: Io credo a fine gennaio, primi febbraio di aver contratto il coronavirus! Ho chiesto al medico di base e la sua risposta è stata. "...non esiste un test attendibile se non in una piccola finestra temporale, non abbiamo conoscenza del virus e non c’è nulla di certo." Il suo consiglio è stato ".... si comporti come non l’avesse mai contratto."

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.146) 7 aprile 2020 19:33
    Damiano Mazzotti

    Samuele Ceruti, uno specialista svizzero di Medicina Intensiva di Lugano, molto bravo e gestire i numeri e i processi scientifici:

    https://www.vglobale.it/wp-content/uploads/2020/03/Coronavirus-dati-aggiornati-al-12-marzo-2020.pdf?fbclid=IwAR0sOIPTqJhb5FmWOGPCyLdNqUkDdBze-LzdcG0ejkI5SHphY2ibKK3_2z8

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.146) 7 aprile 2020 19:38
    Damiano Mazzotti

    Un commento di Simone Franzi all’ultimo video di Gianluca Spina (ci sarebbero più cose da indagare anche se Gianluca Spina forse sta perdendo lucidità, cosa che sta succedendo a tutti e forse è pure una cosa prevista per la nostra strana cattività):

    Buongiorno, ho seguito alcuni dei suoi video e sono abbastanza d’accordo con le sue conclusioni. Comunque mi sono fatto un’idea personale su questo virus. E’ indubbio che ci sia un’epidemia influenzale molto contagiosa, ma la domanda da porsi è: chi colpisce e dove colpisce?1) Le zone dove il virus ha colpito di più sono quelle più inquinate ( Bergamo, Brescia, Lodi sono le tre provincie che hanno avuto il più alto inquinamento da polveri sottili) 2) nelle provincie di Bergamo e Brescia in autunno sono state fatte nell’autunno 2019 185000 vaccinazioni antinfluenzali e 30000 vaccinazioni anti meningococco ( uno studio americano ha evidenziato un aumentato rischio di contrarre polmoniti e altre patologie respiratorie del 36% su coloro i quali la vaccinazione antinfluenzale) 3) l’alimentazione basata principalmente sui carboidrati rende il corpo più ricettivo al virus.4) i diabetici, coloro che assumono farmaci per la pressione hanno maggiori probabilità di contrarre il virus e in questo caso di avere un esito infausto.5) nelle zone dove ci sono più morti ( sarà un caso) è stata attivata la rete 5G. Quindi nella provincia di Bergamo, dove c’è un tasso di mortalità anomala rispetto al resto d’Italia, se sommiamo inquinamento, vaccinazioni e 5G abbiamo una possibile risposta. Chi aveva patologie in atto ha avuto inevitabilmente un esito infausto. Basterebbe fare una statistica: tra coloro che sono morti col corona virus quanti avevano fatto la vaccinazione antinfluenzale?

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