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“Cool war”. La cooperazione competitiva tra Stati Uniti e Cina

“Guerra Fresca” è un saggio molto scorrevole di Noah Feldman e prende in esame il presente e il futuro delle principali relazione internazionali (il Saggiatore, 2014, 166 pagine effettive, euro 18).

 

Il libro cita alcuni episodi di cronaca molto significativi, analizza scenari futuri analizzati vari e approfonditi e valuta le decisioni degli ultimi governi americani e delle leadership cinesi, in genere composte da una autoselezione di funzionari severi e razionali.

La Cina non è una dittatura, ma è uno stato autoritario e “ogni dieci anni, per la prima volta nel 1992, poi di nuovo nel 2002 e ultimamente nel 2012, il Partito comunista cinese ha mandato in pensione il suo gruppo di leader più anziani, sostituendoli con un’altra squadra di politici di circa dieci anni più giovani”. La classe dirigente cinese gestisce una forma di economia semicapitalistica poco regolamentata e il sistema viene da loro definito “socialismo con caratteristiche cinesi”.

In Cina non esiste la democrazia ma il grande sviluppo economico garantisce una forte legittimità popolare al Partito comunista. La casta dirigente cinese è molto adattabile agli eventi: alcune cariche del partito sono trasmesse per via ereditaria, altre sono assegnate per motivazioni più meritocratiche. Negli Stati Uniti un cittadino può essere eletto solo se ha accumulato i milioni di dollari necessari per realizzare una buona campagna elettorale e l’età media dei parlamentari è tra le più alte del mondo. Quindi c’è probabilmente un maggiore ricambio tra i parlamentari cinesi.

Comunque gli Stati Uniti assorbono il 25 per cento delle esportazioni cinesi e l’8 per cento del gigantesco debito pubblico americano è in mano alla Cina (la Federal Reserve ne detiene di meno). Anche secondo Noah Feldman, “proprio come la distruzione nucleare muta assicurata contribuì a tenere sotto controllo il conflitto tra Stati Uniti e Unione Sovietica durante la Guerra fredda… la distruzione economica mutua assicurata – o almeno qualcosa di simile – dovrebbe tenere Stati Uniti e Cina lontani da una guerra economica diretta e su larga scala”. Una cooperazione ben dosata è quindi la soluzione che permette di tenere sotto controllo gli eccessi della competizione.

Si potrebbe così arrivare a un duraturo equilibrio geopolitico: “Un’Asia dominata dalla Cina sarebbe controbilanciata da un Occidente dominato dagli Stati Uniti”. Però gli eccessi del nazionalismo possono sempre conquistare le menti dei politici e dei cittadini. Del resto il nazionalsocialismo capitalista cinese segue degli ideali diversi rispetto alla democrazia liberale (anche il comunismo sovietico rivendicava la propria superiorità morale).

D’altra parte la svalutazione strategica della moneta cinese ha già mostrato i suoi limiti nel lungo periodo, seguendo una parabola simile a quella delle svalutazioni competitive della lira italiana. E prima o poi la Cina dovrà affrontare le problematiche riguardanti la giustizia economica e sociale: “i diritti umani costituiscono una significativa fonte di quel conflitto ideologico che renderà lo scontro fra Stati Uniti e Cina una battaglia di idee, non un mero conflitto di interessi nazionali”.

I diritti umani di solito vengono garantiti quando si raggiunge un buon livello di sviluppo economico: un povero affamato da mattina e sera difficilmente lotterà per conquistare la libertà di parola, ma occuperà quasi tutto il suo tempo alla ricerca di un modo per ottenere del cibo. In genere lo sviluppo economico fa crescere anche la domanda di diritti e “oggi non esistono esempi di nazioni che rispettino i diritti umani senza avere una cultura del consumo”. Forse nell’arco di una decina di anni anche la Cina troverà il modo per garantire molte libertà personali e forse i nuovi diritti umani dovranno comprendere il diritto alla salute e al benessere garantito da un reddito minimo di sopravvivenza. Oggi dal punto di vista del Welfare il nazionalsocialismo cinese è simile al nazionalcapitalismo statunitense.

Rimane però l’incognita Taiwan: “Paese ricco e importante, con stretti legami storici con la Cina, Taiwan è anche uno stretto alleato militare degli Stati Uniti. Acquisire Taiwan avrebbe un enorme valore per la Cina, dal punto di vista geostrategico, da quello economico e da quello simbolico (Taiwan non è ancora riuscita a dichiarare la propria indipendenza). E purtroppo la causa dei conflitti armati è quasi sempre una forma più o meno profonda di irrazionalità egoista.

 

Noah Feldman insegna Diritto internazionale alla Harvard Law School, è membro del Council on Foreign Relations (www.cfr.org) e scrive sul New York Times e su www.bloombergview.com.

 

Nota liberale – Il liberalismo limita la democrazia elettorale a livello costituzionale e a livello giuridico: “Le costituzioni e i tribunali mirano a proteggere i diritti della minoranza, di fatto invalidando il principio della regola di maggioranza… le limitazioni servono ai fini delle pari opportunità… il bisogno percepito di aggirare la regola di maggioranza suggerisce la possibilità che le stesse elezioni siano un semplice strumento per mettere il governo nelle condizioni di prendere decisioni giuste, non un imperativo morale da applicare universalmente... Piuttosto, sono moderatamente utili per garantire la responsabilità del governo verso la popolazione” (p. 53).

Aggiornamenti – La Cina si sta preparando a costruire una seconda portaerei e sta costruendo un’isola con la funzione di una gigantesca portaerei nel Mar Cinese Meridionale. Il predominio nel Mar Cinese Meridionale è stato considerato prioritario dalla leadership cinese alla pari della conquista del Tibet. Attualmente la Cina sta costruendo molte isole artificiali su atolli o su banchi corallini, pur di colonizzare zone di mare in aree dominate dal Vietnam o dalle Filippine. Queste zone di mare potrebbero risultare ancora più strategiche e causa di grandi conflitti internazionali se i fondali risulteranno ricchi di petrolio (settimanale “Internazionale”, 31 ottobre - 6 novembre).

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